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  • Immagine del redattoreIsaia Silvano | Daelar Animation

La Ragazza che Saltava nel Tempo: le origini di Mamoru Hosoda

L'animatore Mamoru Hosoda, dopo un rocambolesco inizio di carriera come key-animator presso la multinazionale Toei Animation, dirige Digimon Adventure: Our Digital War! (2000) e Digimon: The Movie (2000), due spin-off della amata nonché celebrata serie anime Digimon Adventure (1999/2000). I film, dal momento in cui vengono pubblicati, ricevono apprezzamenti sia dal pubblico che dalla critica e ciò spinge alcune case di produzione rivali della Toei a interessarsi del giovane e promettente regista. A seguito delle lodi ricevute in Giappone, Hosoda viene infatti assunto come direttore artistico e regista dallo Studio Ghibli, azienda che allora, intorno al 2002, stava attraversando il proprio periodo d'oro grazie al successo planetario riscosso da La Città Incantata (2001) di Hayao Miyazaki. Hosoda aveva deciso di voler diventare animatore dopo aver visto da ragazzino Lupin III: Il Castello di Cagliostro (1979) e a metà degli anni '90 aveva ricevuto una lettera di encomio per il suo lavoro tecnico proprio da Miyazaki, da sempre il suo idolo e maestro platonico. Il giovane regista, nuovo membro di spicco dello studio assieme all'animatore di "scuola Otomo" Hiroyuki Morita (La Ricompensa del Gatto, 2002), viene incaricato di dirigere e supervisionare la nuova produzione principale del Ghibli: Il Castello Errante di Howl, soggetto tratto dal romanzo omonimo di Diana Wynne Jones.



Il Castello Errante di Howl | Daelar Animation
© Studio Ghibli | © Toho


Hosoda deve lavorare a stretto contatto con Miyazaki, che si occupa in un primo momento di adattare la storia originale, scrivere la sceneggiatura del film e disegnare il character design dei personaggi. Tuttavia, già durante le prime settimane di sviluppo, i due professionisti non trovano punti d'incontro per continuare la lavorazione del film, motivo per il quale, a pochi mesi dall'assunzione, Mamoru Hosoda viene allontanato dallo Studio Ghibli proprio dal suo mentore e dal produttore e amministratore dell'azienda Toshio Suzuki. Da questo distacco forzato si possono evincere diversi fatti. Il regista orientale più importante della storia dell'animazione è sempre stato ed è tutt'ora completamente alienato dal proprio lavoro e, dunque, tante delle sue opere non sono altro che il frutto di questo suo morboso attaccamento alla propria mansione. Infatti, se fosse un normale professionista, Miyazaki avrebbe smesso di supervisionare opere animate già nel 1988, dopo Il Mio Vicino Totoro, e, come l'artista ha più volte dichiarato, avrebbe dato le redini dello Studio Ghibli al suo fidato collega e amico Yoshifumi Kondo (I Sospiri del Mio Cuore, 1995). In conseguenza alla prematura morte di Kondo, tuttavia, Miyazaki ha continuato a dirigere film senza particolari problemi fino a Principessa Mononoke, capolavoro del 1997 che lo ha portato verso una profonda crisi personale e vicino a un serio break-down psicologico.



Il Regno dei Sogni e della Follia | Daelar Animation
© Dwango | © Toho


Nonostante questo, il maestro ancora oggi, alla età di ottant'anni, non vuole smettere di occuparsi di animazione e non dà cenni di volersi realmente ritirare. Il Regno dei Sogni e della Follia (2013) di Mami Sunada, documentario che segue le lavorazioni di Si Alza Il Vento (2013) e de La Storia della Principessa Splendente (2013), riesce a entrare nella casa e, in modo parziale, nei pensieri di Hayao Miyazaki e rappresenta una interessante chiave di lettura per poter tentare di comprendere l'ambiguo rapporto che da sempre unisce il maestro al proprio lavoro.


Mamoru Hosoda, invece, esce dallo Studio Ghibli come l'ennesima vittima di un sistema aziendale che letteralmente schiaccia chiunque voglia provare a rendere innovativo un ambiente creativo ma allo stesso tempo cameratesco come quello dell'animazione giapponese. Il giovane regista torna alla Toei Animation per dirigere One Piece - L'Isola Segreta del Barone Omatsuri (2005), il settimo lungometraggio spin-off dell'anime One Piece (1999/in corso) e, grazie al successo di quest'ultimo film, viene chiamato e assunto dalla casa di produzione Madhouse Animation per realizzare la sua vera opera prima: La Ragazza che Saltava nel Tempo (2006).



La Ragazza Che Saltava Nel Tempo | Daelar Animation
© Madhouse | © Kadokawa Herald Pictures


Il film è tratto da un racconto scritto in gioventù da Yasutaka Tsutsui, uno dei maggiori esponenti giapponesi della letteratura di fantascienza e autore, tra i molti testi che hanno influenzato l'arte di Mamoru Oshii, di Katsuhiro Otomo e di Satoshi Kon, del romanzo fanta-thriller Paprika (1993). La sceneggiatura curata da Satoko Okura - futura collaboratrice di Hosoda per la scrittura di Wolf Children (2012) - risulta forzata nel voler adattare la materia letteraria di Tsutsui. Infatti, ristrutturandone lo spirito e la costruzione scenica in ambientazioni scolastiche del Giappone contemporaneo, le caratterizzazioni dei personaggi del film rappresentano una trasposizione attuale ma semplificata di personalità scritte nel 1967, ragazzi e ragazze di età liceale che, nell'opera originale, apparivano più riflessivi/e e specchi di tutti i reali giovani giapponesi dell'epoca. Mentre il libro, per quanto comunque si rivolga a degli adolescenti, esprime dunque sentimenti, pensieri e insicurezze di una intera generazione, il lungometraggio diretto da Hosoda non riesce, se non attraverso le azioni della sola protagonista, a rendere la narrazione qualcosa di corale e condivisibile. Makoto Konno, il personaggio principale del lungometraggio, si prende infatti ogni scena lasciando al resto del cast il solo spazio sufficiente per rispondere alle sue battute. Ogni altra personalità viene lasciata sul vago, senza approfondimento e senza un background che ne possa far esaltare un'identità.



La Ragazza Che Saltava Nel Tempo | Daelar Animation
© Madhouse | © Kadokawa Herald Pictures


Se, tuttavia, i personaggi risultano piuttosto approssimativi, l'intreccio impostato da Satoko Okura, diretto da Mamoru Hosoda e, soprattutto, montato da Shigeru Nishiyama si dimostra invece capace di reggere in maniera credibile l'espediente del riavvolgimento del tempo per tutta la durata della visione, riuscendo inoltre a sostenere la coerenza della narrazione anche durante l'ermetico finale. I due fattori che invece screditano paurosamente la riuscita del lungometraggio sono le animazioni gestite dalla Madhouse e il character design di Hosoda. Ne La Ragazza che Saltava nel Tempo, infatti, non è raro osservare arti dei personaggi che svaniscono, colori sbiaditi senza un contesto e un calo vertiginoso della qualità degli elementi dinamici durante le inquadrature più ampie. È interessante constatare che, nello stesso periodo di produzione del film, Satoshi Kon stesse sviluppando l'ultima - ahimè - sua grande opera cinematografica, ovvero Paprika (2006), lungometraggio, prodotto dalla Madhouse Animation e tratto sempre da un libro di Yasutaka Tsutsui, che rappresenta assieme a Metropolis (2001) di Shigeyuki "Rintaro" Hayashi l'eccellenza tecnica della casa di produzione giapponese. Non sarebbe strano, dunque, pensare che gli amministratori e i produttori degli studios abbiano voluto puntare una grande quantità di denaro sul progetto di Kon, artista già ampiamente affermato e di fama internazionale, e lasciare al giovane Hosoda un budget modesto con il quale poter realizzare il film.



La Ragazza Che Saltava Nel Tempo | Daelar Animation
© Madhouse | © Kadokawa Herald Pictures


Il problema, tuttavia, è che il character design non è abbozzato per rendere minimale l'estetica, non è grottesco appositamente per esaltare caratteristiche psichedeliche o oniriche (come nel caso delle opere di Masaaki Yuasa) e non è caricaturale affinché venga definita una dimensione distorta della messa in scena. Lo stile scarno di Hosoda risulta semplicemente indistinto, quasi larvale nelle istanze in cui i corpi non si riescono a recepire. La Ragazza che Saltava nel Tempo risulta dunque un film che mette in luce i limiti del regista, un professionista che ancora non riesce a immergere la propria arte in dei paesaggi, magistralmente dipinti dal maestro Kazuo Oga, che evidenziano tutte le caratteristiche estetiche sobrie dell'artista. Successivamente alla pubblicazione del film, che si rivela un grande successo al botteghino e che viene immediatamente elogiato sia dalla critica giapponese, sia da quella internazionale, Mamoru Hosoda, soprattutto dopo aver fondato la propria casa di produzione Studio Chizu, darà prova di una notevole crescita tecnica e di uno sviluppo progressivo della propria poetica autoriale. Tali elementi non possono essere riscontrati in questo lungometraggio, bensì solamente intuiti se visti in relazione a opere realmente d'autore del regista come Wolf Children (2012) e The Boy and The Beast (2015), film che condividono con La Ragazza che Saltava nel Tempo solamente il peculiare stile grafico dell'artista.

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