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  • Immagine del redattoreClara Leone | Redattrice

Live-action Disney: se ne sente davvero il bisogno?

Al giorno d’oggi della Disney non si aspettano solamente i film d’animazione ma anche i remake live-action dei vecchi classici animati. Ne sono usciti tanti negli ultimi anni e la casa di Topolino ne ha annunciati molti altri, senza contare i sequel e gli spin-off legati a questi ultimi. Tali remake sono stati accolti quasi tutti a braccia aperte da un pubblico il quale, contento di poter tornare bambino e di rivedere storie già conosciute con un occhio diverso, si è esaltato soprattutto per la nostalgia provata durante la visione. Tutto comincia nel 2010 con Alice in Wonderland, film diretto da Tim Burton che funge da rifacimento dell’omonimo Classico Disney del 1951. Sebbene all’uscita esso abbia riscosso un grande successo al botteghino e molto pubblico sia rimasto entusiasta di vedere una versione adulta e fantasy di Alice nel Paese delle Meraviglie, con il tempo ci si è accorti che il film non funzionava come adattamento del lungometraggio animato e del romanzo originale. Alice in Wonderland di Burton, infatti, risulta una classica storia fantastica basata sulla lotta tra il bene e il male e perciò manca del fascino del prodotto originale. Il regista ha cercato di imporre una logica ad un mondo che non dovrebbe averne, inserendovi atmosfere cupe e invecchiate anche male. Dopo questo primo trionfo economico, nel corso degli anni sono stati presentati degli adattamenti dei Classici Disney, fatta ad eccezione per alcuni, che hanno cercato di raccontare la storia originale dal punto di vista di personaggi non principali. Dunque viene da chiedersi: se ne sentiva veramente il bisogno? Non bastavano i vecchi film d’animazione, vere perle adatte ad ogni età? Questi remake fondamentalmente sono una manovra commerciale di una Disney che non solo ricerca denaro, bensì cerca anche l’approvazione di un pubblico contemporaneo e di una critica praticamente corrotta. Dunque, cos’hanno di sbagliato questi film?



Maleficent | Daelar Animation
© Walt Disney Company


Da villain carismatica a eroina de-contestualizzata


La Disney ha creato e dato personalità a una moltitudine di personaggi che non sono soltanto degli eroi ma anche dei villains. Impossibile dimenticarsi, per esempio, dell'ossessione di Crudelia De Mon verso le pellicce o del desiderio vendicativo di Malefica, la signora del male più affascinante dell'animazione disneyana, verso una principessa senza colpe. Che si voglia o no, Malefica e Crudelia De Mon sono le antagoniste più famose di una Disney che, per proporre qualcosa di diverso, ha deciso di produrre film con loro come protagoniste assolute. Quindi, mentre il remake de La Bella Addormentata nel Bosco, intitolato Maleficent (2014), viene realizzato dal punto di vista di Malefica, il prequel de La Carica dei 101, intitolato Crudelia (2021), viene prodotto con Crudelia De Mon come personaggio principale. Da premesse simili ci si aspettano dei film che raccontino come esse sono diventate i personaggi presenti nei vecchi classici, ma invece non è così. Maleficent e Crudelia prendono strade totalmente diverse e quel che è peggio è che le protagoniste si ritrovano a combattere contro dei villains, sconfiggendoli e risultando quindi le eroine della situazione. Cosa rimane del loro lato malvagio? Nulla a parte un carattere taciturno e dei comportamenti sopra le righe. In Mafelicent, per esempio, la signora del male diventa la madre adottiva della principessa Aurora ed è lei stessa, con il suo amore materno, a spezzare la maledizione che aveva lanciato anni prima alla neonata. Una scelta apprezzata da un pubblico bigotto che accusa questi cartoni di essere diseducativi per le bambine perché non ci si può innamorare del primo ragazzo che si incontra.



Crudelia | Daelar Animation
© Walt Disney Company


Accuse totalmente prive di fondamenta perché qui si parla di fiabe che non vanno dunque prese alla lettera. Parlando sempre di Malefica, il suo sviluppo da villain viene completamente accantonato anche nel sequel del 2019, film nel quale la signora del male salva due regni e mette fine a una intera guerra. Siamo sicuri che questo remake sia la storia sulle origini di una strega che maledice una bambina? Oppure è un’altra storia? Crudelia fa lo stesso errore. Nel film non viene minimamente trattata la sua ossessione verso le pellicce, ci sono i cani ma non contano nulla per lo sviluppo del personaggio e anche lei si ritrova a scontrarsi con un personaggio negativo, uscendone vittoriosa. Inoltre, per tutto il film sembra che lei abbia due personalità e che Crudelia rappresenti il suo lato oscuro, per così dire, perché questa protagonista non è egoista e materialista ma soltanto un po' folle e "pazzerella", dunque nulla di crudele [1].


Potere alle donne


Questi live-action hanno approfittato della notorietà del materiale di base per dare più spazio ai personaggi femminili, dato che la Disney negli anni passati è stata accusata ingiustamente di maschilismo, sempre in situazioni dove non aveva colpe. Per esempio, Ariel rinuncia alla sua voce per un uomo, Cenerentola non si salva da sola, Biancaneve pulisce la casa di sette uomini, Aurora è un personaggio passivo. Queste sono le accuse più frequenti che si sentono nei confronti dei relativi film e, prima di parlare del femminismo nei live-action, è doveroso spendere delle righe proprio su questo punto.



Biancaneve e I Sette Nani | Daelar Animation
© Walt Disney Company


Prima di tutto, questi lungometraggi animati sono delle fiabe e, come già scritto, in questi racconti non bisogna necessariamente trovare paragoni con la realtà. Quello che conta sul serio, infatti, è il messaggio che passa. Non bisogna sindacare sul fatto che il bacio di Biancaneve sia illegittimo perché lei era addormentata, ciò che conta è il gesto. Il bacio del vero amore rompe la maledizione, ergo l’amore è la medicina più potente di tutte. Aurora è un personaggio passivo? È il ruolo di un principessa creata perché risulti una "bella addormentata" e renderla attiva non avrebbe senso. In più non è lei la protagonista, bensì lo sono le tre fatine. Cenerentola in realtà si salva da sola, infatti è lei che chiede aiuto ai topini per liberarsi e che porta la prova al granduca. Perché non è scappata? Perché per anni è stata abusata, tutti i giorni subiva violenze domestiche e viveva in un’epoca in cui alle serve non era concessa alcuna libertà. Ariel è semplicemente una ragazzina che disubbidisce alle regole ma allo stesso tempo è dolce e molto curiosa, inoltre vuole andare nel mondo degli uomini prima di incontrare Eric. Come si può notare, non c’è sessismo in queste opere e, purtroppo, certe persone fraintendono i messaggi e il modo con i cui andrebbero raccontate e interpretate le fiabe. Si torna ai live-action. Cosa bisogna pensare di questa campagna femminista? In alcuni casi risulta fastidiosa perché non ci si ritrova davanti a dei personaggi femminili interessanti ma a dei pupazzi che devono solamente accontentare la massa come, per esempio, Belle de La Bella e La Bestia (2017), ovvero una "Mary Sue" senza alcun difetto. La protagonista si sente esclusa dagli abitanti del villaggio, eppure quando inventa una lavatrice non la condivide con altri. È un genio in tutto, eppure usa le sue invenzioni solo per sé.



Aladdin | Daelar Animation
© Walt Disney Company


Un altro remake in cui la Disney ha cercato di trattare tematiche femministe è Aladdin (2019), film dove la principessa Jasmine vuole a tutti i costi diventare sultana di un regno a quanto pare maschilista che non accetta delle donne sul trono. Questo potrebbe sembrare un cambiamento interessante per il personaggio di Jasmine ma non è così, perché il film tratta questa tematica nella maniera sbagliata. Nel lungometraggio animato non vigeva un’atmosfera maschilista, Jasmine sarebbe diventata regina anche senza un uomo, era il padre che insisteva sul matrimonio affinché la figlia non restasse sola per tutta la vita. Il sultano, infatti, voleva solo che qualcuno le stesse accanto, una preoccupazione del tutto normale per un genitore. Il tema “Jasmine aspirante sultana”, invece, non viene approfondito perché il film live-action parla di tutti altri argomenti e segue di pari passo la trama del classico animato, confondendo dunque quelli che dovrebbero essere i suoi temi principali, ovvero la libertà e l’emancipazione. Si nota del femminismo mal funzionale anche in Lilli e Il Vagabondo (2019), film dove in più occasioni Lilli viene fatta passare per una eroina forte e indipendente quando in verità provoca solo guai come, per esempio, nel finale nel quale rischia di uccidere Biagio e l’accalappiacani, un gesto che viene fatto passare per un atto eroico e che non viene minimamente condannato né messo in discussione. Infine, si arriva al disastro più grande: Mulan (2020). Se nel classico animato l'eroina andava all'accampamento militare completamente ignorante e inesperta del mondo che la circondava e, attraverso fatica e sudore, si guadagnava i suoi meriti, nella versione live-action, grazie alla scusa della fedeltà verso la leggenda cinese originale, la forza di Mulan viene attribuita a dei poteri che soltanto lei possiede. Insomma, qui viene rovinato proprio tutto il messaggio positivo e realmente femminista del film d'animazione [2].



Lilli e Il Vagabondo | Daelar Animation
© Walt Disney Company


Fino a che punto è utile la contestualizzazione?


La Disney sta cercando di dare più spazio anche ad altre culture. Basta vedere film animati come Oceania, Raya e L’Ultimo Drago e il prossimo Encanto, dove già dal trailer è stata annunciata l'ambientazione colombiana. Nei remake live-action, invece, la Disney ricorre spesso e volentieri al blackwashing [3] per risultare forzatamente integrativa. Un esempio lampante si può ritrovare nel film Lilli e Il Vagabondo (2019) dove Tesoro, la padrona della cagnolina, è afroamericana e con il marito crea una famiglia mista e felice. In questo caso ci si trova di fronte a un falso storico; risulta sbagliato cambiare la storia a piacimento e far credere che a quei tempi - negli anni ’50 - negli Stati Uniti d’America non fossero presenti unioni socialmente inaccettabili. La Disney si è sempre posta come una casa di produzione educativa, paladina di messaggi positivi, eppure in un’epoca dove i matrimoni misti erano vietati e il razzismo era una realtà convenzionale, si nasconde [4]. Non è diseducativo censurare la storia e far finta che certe realtà non siano mai state parte integrante di una nazione? È vero, nei primi classici non c’erano protagonisti con la pelle scura ma bisogna ricordare che erano anche gli anni in cui Walt Disney stesso promuoveva le regole di quel periodo storico. Nel periodo della Seconda guerra mondiale, Disney ha prodotto Saludos Amigos e I Tre Caballeros, film antologici che servivano come propaganda positiva verso le Americhe latine. Ne Il Libro della Giungla viene presentato invece il primo protagonista con la pelle scura, ovvero il piccolo Mowgli, ed era il lontano 1967, l'anno della morte di Walt Disney.



La Principessa e Il Ranocchio | Daelar Animation
© Walt Disney Company


Dunque, è sbagliato cadere nell’accezione che la Disney abbia avuto negli anni passati pregiudizi verso molteplici etnie, dato che tra l’altro dagli anni ‘90 in poi sono usciti film come Aladdin, Pocahontas, Mulan, Lilo & Stitch e La Principessa e Il Ranocchio, classici che si concentrano su culture diverse e anche fin troppo sconosciute al pubblico. Le accuse di razzismo arrivano da persone che si sono fatte influenzare dalle false voci che girano attorno alla Disney. La stessa casa di produzione si è posta come paladina della giustizia prima di censurare I Racconti dello Zio Tom, un suo film assolutamente innocuo ma accusato di razzismo perché ambientato durante la Guerra civile americana senza dare peso alle leggi razziali vigenti in quel periodo. Al giorno d’oggi, quindi, gli studios stanno creando loro stessi dei falsi storici. Prima di concludere questo punto, è doveroso accennare un altro avvenimento che dimostra la debolezza del sistema blackwashing. Nel luglio 2019, la Disney ha annunciato ufficialmente il live-action de La Sirenetta e, allo stesso tempo, ha svelato chi interpreterà la principessa Ariel. Si tratta di Halle Bailey, una giovane attrice e cantante afroamericana [5]. La notizia non è stata accolta con entusiasmo, tant’è che negli Stati Uniti d’America è stata aperta una petizione per cambiare attrice principale. La scelta della Disney ha dunque diviso il pubblico e ha scatenato tantissime polemiche, eppure la casa di Topolino era sicura ed entusiasta della sua scelta affermando che la giovane Bailey fosse una attrice perfetta. Ora, non bisogna sindacare sul fatto che Halle Bailey abbia meritato o meno la parte di Ariel, ma bisogna analizzare il principio di questa scelta. La prima domanda che tutti si sono posti è stata: Perché Ariel sarà afroamericana?





In prima fila ci sono i nostalgici e i puristi della Disney, feriti dal fatto che non potranno vedere una sirenetta con i capelli rosso fuoco e gli occhi azzurri. A ribattere si trova quel gruppo di persone soddisfatte della scelta e che accolgono questa modifica con esaltazione. I tempi cambiano e si necessitano più film integrativi. Tuttavia, entrano in gioco anche pareri scientifici affermando che siccome Ariel è una creatura che vive sott’acqua, lontana dai raggi del sole, dovrebbe quindi per forza avere la pelle bianca. Inoltre, c’è chi si è attenuto alla fiaba originale nella quale Andersen descrive la protagonista come bianca e con i capelli biondi e, per finire, chi afferma che, essendo Ariel un personaggio di fantasia, il colore della pelle non abbia alcuna importanza [6]. Ci si trova dunque di fronte a tante polemiche e a nessuna risposta inequivocabile, ma una cosa è certa: in questo modo il film è riuscito a farsi tanta pubblicità ancora prima di uscire e sicuramente, non appena arriverà al cinema, le sale saranno piene, colme di persone che non vedono già adesso l’ora di parlare del film in bene o in male. E il fattore dell’integrazione? Ancora una volta quello passa in secondo piano dato che la priorità è quella di continuare a discutere sul bisogno di una sirenetta afroamericana oppure no, un discorso che non arriverà mai a un compromesso nel quale saranno tutti d’accordo. Il blackwashing, dunque, se mal sfruttato riesce a scatenare un sacco di controversie ma allo stesso tempo arricchisce i produttori. Purtroppo, esso viene mascherato come un fattore positivo di reale integrazione, volto a creare film dove uomini e donne riescono a convivere in armonia, eppure la propaganda studiata dalla Disney si è dimostrata tutt’altro che buona e propositiva durante tutti questi anni.



La Bella e La Bestia | Daelar Animation
© Walt Disney Company


Tematiche LGBTQ+ non approfondite


La presenza di personaggi non eterosessuali è di per sé un enorme passo in avanti per la Disney, tuttavia la casa di produzione, fino ad oggi, non ha saputo dare alcuno spazio di rilievo ad alcun personaggio o ad alcuna tematica di questo tipo. LeTont, primo e unico personaggio omosessuale presente nei remake della Disney, nel live-action de La Bella e La Bestia (2017) è innamorato di Gaston. Il film ha reso giustizia a questo personaggio? Assolutamente no. LeTont è stato inserito nel film senza alcun approfondimento. I creativi della Disney, dunque, non si sono presi il compito di scriverlo decentemente ma lo hanno approssimato seguendo solamente stereotipi. Eppure, la Disney è riuscita ancora una volta a far passare questo evento come rivoluzionario. Se si vogliono veramente trattare tematiche delicate in un film per famiglie non si possono inserire senza renderle un minimo profonde. Se si vuole normalizzare l’omosessualità, non bisogna usarla come mezzo per scatenare polemiche.


Osare? Troppo rischioso


La Disney ha capito che il suo pubblico è fin troppo nostalgico e per assicurarsi soldi facili non si prende il compito di riscrivere in modo diverso e interessante una storia che praticamente tutti conoscono. Per andare sul sicuro, gli sceneggiatori preferiscono ricalcare scena per scena ciò che succede nell'opera animata originale, come, per esempio, succede ne Il Re Leone (2019), film vuoto e fondamentalmente inutile.



Il Re Leone | Daelar Animation
© Walt Disney Company


La regia non funziona perché riprende inquadratura per inquadratura quelle del film d’animazione, con un risultato molto imbarazzante e con una grafica realistica dei personaggi che appiattisce qualsiasi emozione. Il doppiaggio italiano, inoltre, specie se si chiamano due vip che non sanno doppiare, non aiuta. La potenza del classico stava nei suoi colori caldi, nelle reazioni umane che esprimevano gli animali e nei suoi personaggi memorabili. Il Libro della Giungla (2016), invece, ha provato a fare qualcosa di diverso ma ha fallito anch'esso. Dovrebbe essere superiore al lungometraggio animato perché ci sono scene violente? Non funziona così. Il classico, seppur non racconti tutte le avventure di Mowgli, resta una bellissima storia di formazione con personaggi indimenticabili. Il remake, invece, fa l’errore di cercare di prendere gli elementi crudi della trama originale per poi riprendere passo per passo le sequenze dell'opera del 1967. Rendere Re Luigi un gigante è servito a rappresentarlo più cattivo? Nel film d’animazione si vede chiaramente che è un personaggio meschino che farebbe del male a Mowgli. Altra domanda: perché introdurre la famiglia adottiva del protagonista se poi i lupi non vengono mai più ripresi? La Bella e La Bestia (2017), invece, fa la stessa mossa de Il Re Leone, ovvero ricalca scena per scena il classico e cerca di dare spiegazioni realistiche dove non servono, creando quindi dei buchi di trama e dei punti aggiuntivi inutili. Nel film viene presentato un libro che può spostare una persona ovunque lei voglia, eppure, per salvare suo padre dai paesani, Belle non lo usa e, come nel film animato, lascia il castello a cavallo. Questa dovrebbe essere una fiaba ma finisce per risultare un fantasy mal strutturato perché cerca di spiegare situazioni che nel classico sembravano fin troppo palesi.



Dumbo | Daelar Animation
© Walt Disney Company


Tra tutti i live-action usciti, Dumbo (2019) ha provato a raccontare qualcosa di realmente diverso e originale ma anche qui, nel remake si è persa tutta l’atmosfera malinconica e dolce dell'opera originale. La scena nella quale mamma Jumbo culla Dumbo, una delle più potenti, delicate e drammatiche sequenze della storia dell’animazione, nel live-action viene inserita solamente perché presente nel film del 1941. È fredda, troppo veloce e non genera alcuna empatia.


Conclusioni


Se questi live-action presentano tutte queste lacune perché ottengono così tanto successo? Non esiste un’unica risposta giusta. Una verità è che il pubblico si entusiasma - a prescindere dalla qualità del progetto - osservando un film identico al Classico Disney che guardava da piccolo, anche se esso presenta attori in carne e ossa. Ciò lo fa sentire più adulto, cresciuto e non più un bambino. Le opere d’animazione sono adatte a tutte le età e alcune di esse hanno profondamente cambiato il cinema; sono gioielli del passato che si dovrebbero custodire con amore e rispetto, non sostituire con delle copie. Non si può pensare che possano colmare la nostalgia quando si possono recuperare molto facilmente. L’articolo mette in evidenza tutto quello che non funziona in questi remake perché la Disney ha paura di creare qualcosa di davvero innovativo temendo di perdere le grazie di una critica corrotta e del suo pubblico affiliato da decenni. Riscrivere classici che sono figli di un’epoca è dannoso e rinnega tutti gli sforzi che hanno compiuto in questi anni centinaia di creativi. Walt Disney non avrebbe mai accettato questa nuova direzione aziendale. Una sua frase, infatti, racchiude perfettamente ciò che desiderava realizzare con il suo studio:


Pensa, credi, sogna e osa

(Walt Disney)


Articolo modificato il 26/11/2022


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