Quando il maestro Miyazaki ha deciso che nessuna campagna marketing avrebbe anche solo vagamente "spoilerato" i contenuti della sua ultima fatica al pubblico, ci ha visto giusto. L'opera che aveva confezionato era di quel tipo che richiede allo spettatore di abbandonarsi fiducioso alle mani del regista, per lasciarsi traghettare da una sponda all'altra del fiume, senza farsi aspettative e senza opporre resistenze. La traversata non è delle più agevoli, va detto. Il viaggio che ci aspetta solca acque a tratti così impetuose da far temere più di una volta che la barca si rovesci e la superficie si chiuda sopra le nostre teste. Alla fine però, dopo averci mostrato il contenuto del suo furoshiki animato [1], Hayao Miyazaki rimette ogni cosa all'interno del fazzoletto e lo richiude - con una rapidità che ci fa quasi dubitare di aver colto il gesto con cui ha riannodato gli orli di questa storia. Questo cappello introduttivo è criptico come criptico è Il Ragazzo e l'Airone, l'ultima uscita dello Studio Ghibli. È d'obbligo un'avvertenza, prima di lasciarvi all'articolo. Nel rispettare i voleri del maestro e le atmosfere di questo film, non ci sarà uno specchietto esplicativo della trama e i riferimenti ai personaggi saranno ridotti al minimo. Non voglio rovinare l'attesa a chi non ha potuto godersi le anteprime della Festa del Cinema di Roma e dovrà aspettare il 1° gennaio 2024, data di uscita ufficiale in tutte le sale italiane. Quella che vi trovate davanti è una recensione sui generis, un racconto dei colori, dei suoni e delle sensazioni, più che un'analisi dei temi, dei motivi e dei modi della messa in scena; per rendere omaggio a un film che non va spiegato ma soltanto vissuto. Fino in fondo.
"Fecemi la divina potestate"
Gli anni che stiamo vivendo sono anni di crisi, di cambiamenti indesiderati e di contrapposizioni violente. Quando il maestro ha annunciato, nell'ormai lontano 2017, di avere in cantiere un nuovo progetto - in parte ispirato al romanzo di Genzaburo Yoshino Kimitachi Wa Do Ikiru Ka (君たちはどう生きるか, "Voi Come Vivrete?", 1937) - non si sarebbe mai aspettato che fra quell'annuncio e la conclusione dei lavori si sarebbe scatenata una pandemia e due devastanti guerre con un contorno di sempre più grave crisi climatica. Neanche a farlo apposta, il mondo in cui vive il protagonista Mahito è scosso dalle convulsioni della Seconda Guerra Mondiale. E il "mondo di sotto" in cui si avventura è in bilico da tempo sull'orlo di un baratro che si fa sempre più vicino. Non c'è momento storico migliore per vedere Il Ragazzo e l'Airone: che la coincidenza sia voluta oppure no, i temi della morte, della decadenza, del conflitto e della fuga dalla realtà toccano nervi attualmente dolorosamente scoperti. Si può dire senza tema di sbagliare che l'ultimo lavoro del maestro sia anche il più cupo, il più viscerale - in ogni senso possibile - il più gotico e il più tormentato. Si sfiorano picchi che neanche nella pur violenta Principessa Mononoke si erano visti e che il fondatore dello Studio Ghibli aveva forse squadernato davanti ai nostri occhi con tanta nettezza solo nel manga della sua Nausicaä della Valle del vento. Tutto è soffuso e velato di una malinconia quasi mortifera: persino i colori brillanti del cielo e dei prati sterminati; persino le musiche scarne e puntute di Joe Hisaishi, qui decisamente minimalista; persino le immagini più ricorrenti che si susseguono sullo schermo.
Persino gli animali (nel lungometraggio le specie aviarie sono presenti in modo preponderante) sono inquietanti e pericolosissimi, anche più dello standard miyazakiano, che mai ha voluto rappresentare la Natura come un benevolo parco giochi di disneyana memoria. E proprio sull'aspetto estetico e stilistico tocca soffermarsi. La genesi di questo lungometraggio è stata complessa. Sia perché il maestro è ormai ultra-ottantenne e non può più sostenere i ritmi della gioventù, che gli permettevano di completare un film nel giro di un anno e mezzo. Sia perché la cura dell'animazione è stata estrema e i risultati pagano. Gli sfondi sono acquerelli a tinte vivacissime. Ogni ambientazione è caratterizzata dalla sua palette di colori e dai suoi dettagli e a noi sembra di muoverci in una pinacoteca, passando da un quadro riccamente decorato con particolari baroccheggianti a paesaggi così ampi e sterminati da riempire i polmoni di aria pura. Il mare agitato e il cielo brillante ci ricordano le distese su cui volava Marco in Porco Rosso; c’è una stanza che richiama, con meno disordine ma altrettanti luccichii dorati, i ricchi appartamenti in cui riposava Howl ne Il Castello Errante di Howl. Hayao Miyazaki stesso ci prende per mano e ci accompagna in questa gita a ritroso nelle sue opere, rielaborando atmosfere, personaggi, situazioni e tematiche a lui care: come la forza vivificatrice del fuoco, così ben espressa dallo stesso Calcifer; o le campagne incontaminate della sua infanzia, già percorse in braccio all'immenso Totoro; o ancora, gli spiriti naturali che fanno da guide imperfette a bambini smarriti in cerca di identità, come accade a Chihiro ne La Città Incantata; e che dire del padre benevolo che lucra sulla guerra producendo pezzi di aeroplani militari, una "macchia di famiglia" con cui Miyazaki si era già confrontato in Si Alza Il Vento?
A punteggiare a livello sonoro le avventure mistiche e misteriose di Mahito è la colonna sonora di Joe Hisaishi, ormai collaboratore storico del maestro, che ha fatto del pianoforte una presenza ubiqua ma discreta. Il Il Ragazzo e l'Airone è un film molto silenzioso, scarno nei dialoghi e nei rumori, in cui la musica sottolinea le azioni dei protagonisti solo in pochi momenti precisi. E all'essenzialità spoglia del mondo reale in rovina fa da contrappunto uno sviluppo ricco e fantasioso dello spartito, quando è "il mondo di sotto" a spalancarsi di fronte agli occhi dello spettatore. Un mondo dove non esistono regole o dove, per lo meno, le nostre regole non valgono più, un po' come accadeva nel "Paese delle Meraviglie" di Alice. Un mondo che abbonda di metafore, sinestesie, assurdità, misteri irrisolti, esistenze che vanno accettate senza cercare le loro ragioni. Un mondo che va attraversato seguendo un percorso emozionale fatto di associazioni e riferimenti incrociati. Che qui sono molteplici e non tutti comprensibili a una prima, superficiale occhiata. Allo spettatore nostrano non sfuggirà, però, il riferimento dantesco inciso in italiano sullo stipite dell'ingresso di questo mondo liminale: "fecemi la divina potestate". Se pensate di starvi inoltrando in una sorta di aldilà dannato o di aver compreso la radice di questa "potestate", mi tocca fermarvi. L'interpretazione è tutt'altro che scontata in questo lungometraggio di due ore e rotti, né Miyazaki ha alcuna intenzione di renderlo facilmente comprensibile. Non è più tempo di storie lineari ed edificanti, non ora che il maestro è libero di creare senza più preoccuparsi di consegne da rispettare e di bilanci da far quadrare. Adesso tutto ciò che conta è creare, creare, creare.
Seconda stella a destra (questo è il cammino)
Il Ragazzo e l'Airone è un'opera che può spiazzare. Anzi, che vuole farlo, visto che lo stesso Miyazaki non ha voluto che nessuna operazione di marketing potesse anche solo per sbaglio offrire una chiave di lettura al pubblico. Questo è ciò che è accaduto in Giappone, dove la sua ultima opera ha comunque avuto un buon ritorno di pubblico. Per la distribuzione internazionale si è preferito non fare affidamento solo sulla reputazione del maestro. Esiste un trailer ed esiste una campagna pubblicitaria, seppur minimale - va bene l'arte ma bisogna pur sempre pensare al botteghino. E al titolo originale, E Voi Come Vivrete?, forse considerato troppo criptico e filosofico, si è preferito un più iconico The Boy and the Heron. La storia di un ragazzo e di un airone, una prospettiva più rassicurante per un pubblico occidentale che rischia di uscire dalla sala intontito. In questo film, Miyazaki non si è artisticamente risparmiato e ha deciso di sperimentare, alla bella età di ottantadue anni, andando fuori dal suo canone ormai ben stabilito. Ci sono gli omaggi e i riferimenti - non ultimo quello al doloroso La Tomba delle Lucciole, dello scomparso amico di una vita, Isao Takahata. Ci sono i temi ricorrenti e i colori, i paesaggi, i tipi umani a cui siamo abituati. E c’è il fatto che il film Il Ragazzo e l'Airone, a differenza dei suoi predecessori, metta la trama in secondo piano per snodarsi seguendo le emozioni e le impressioni. Perché sono quelle, strettamente intrecciate ai panorami che generano e da cui sono generate, che guidano l'avventura di Mahito e la nostra attraverso questa storia fuori dagli schemi.
Non ci viene chiesto di affrontare un viaggio dell'eroe con annessa catarsi finale. Ci viene chiesto di immergerci insieme al protagonista in un mondo all'apparenza incomprensibile, di mettere da parte ogni preconcetto e lasciarci andare a un lungometraggio che vuole essere innanzitutto questo: un'esperienza artistica. Non per forza didascalica - non è comunque un aspetto da escludere - non per forza fitta di messaggi nascosti, non per forza costruita per divertire con facilità un pubblico ormai abituato a un intrattenimento da fast food. Il Ragazzo e l'Airone non ci tiene a essere per tutti e con le sue immagini cupe e terrorizzanti è uno di quei film che un pubblico più giovane capirà solo a metà ma va bene così - anche noi adulti avremo bisogno di più di una visione per metabolizzarlo fino in fondo. Onirico, visionario, fantastico in modi che più volte sembrano disancorare la storia dalla realtà quotidiana, quest'ultimo lavoro miyazakiano dunque devia dal canone precedente, eppure c'è un particolare che lo rende ora e sempre un film di Hayao Miyazaki. Parla a quel lato tutto infantile dentro di noi che vuole meravigliarsi e incantarsi di fronte alle immagini e alle situazioni senza fare domande, senza aspettarsi spiegazioni, senza pretendere insegnamenti. Non pochi sono i significati nascosti, i rimandi incrociati, gli omaggi alla storia dello Studio Ghibli che chiederebbero una trattazione analitica. Il Ragazzo e l'Airone non parla solo di morte, non parla solo di elaborazione del lutto, non parla solo di affrontare la vita mentre il mondo frana sotto i nostri piedi.
A ben scavare, si scorge anche una riflessione sull'arte, sul suo potere salvifico ma anche ingabbiante di creare mondi fantastici e comode vie di fuga. Volendo azzardarsi ad andare oltre, l'ultima (ma solo per ora) opera di Hayao Miyazaki si rivela essere non soltanto un testamento artistico ma anche una sorta di esame di coscienza. Quando anche voi avrete completato la visione, ripensate al Signore del Castello e a ciò che più brama nella sua spasmodica ricerca - forse, come alla sottoscritta, vi sembrerà di scorgere un barlume del regista e dei suoi rimpianti passati. O forse no. Non pretendo di spiegarvi Il Ragazzo e l'Airone. Non ho la presunzione di darvi una risposta univoca al quesito: E voi come vivrete? Che piaccia o che non piaccia, che affascini o che lasci spaesati, l'ultimo capolavoro di Hayao Miyazaki non solo riconferma la sua bravura. Ci consegna anche il lavoro di un maestro che non ha mai smesso di interrogarsi e di mettersi in discussione. Neanche a ottantadue anni. Ci vorrebbero più artisti così. Ci vorrebbe anche un mondo - artistico e non solo - capace di accettare storie complicate, fatte per smarrire, confondere e incantare. In ogni caso Il Ragazzo e l'Airone, o The Boy and the Heron che dir si voglia, è un viaggio che vale la pena intraprendere, anche a costo di tornare a casa pieni di domande e di obiezioni. A dimostrazione, ancora una volta, che l'animazione non è un genere ma un mezzo, potentissimo e prolifico, in grado di regalarci panorami e mondi che il cinema dal vero non riuscirà nemmeno a sfiorare, non importa a quanta CGI si ostinerà a ricorrere.
Articolo pubblicato anche su ilariavigorito.com il 24/10/2023
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APPROFONDIMENTI
[1] Miyazaki, Hayao (2009). Starting Point (1979-1996). San Francisco. Viz Media. p. 392-393