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  • Immagine del redattoreI. Silvano & C. Leone

Cowboy Bebop: The Complete Session

Gli anni '90 sono un periodo estremamente fiorente e importante per l'animazione giapponese, medium che lentamente, dopo l'esplosione mediatica di Akira (1988) di Katsuhiro Otomo, comincia a farsi notare a livello mondiale grazie a prodotti che riescono ad attirare un pubblico lontano dalle usanze orientali ma, allo stesso tempo, molto interessato ad approfondirle. Uno dei protagonisti indiscussi di quest'epoca, Hideaki Anno, dopo aver riscosso successo con l'anime Nadia - Il Mistero della Pietra Azzurra del 1990, crea con il proprio studio d'animazione Gainax il seminale capo d'opera Neon Genesis Evangelion (1995), serie che cambia radicalmente il mondo dell'animazione dal punto di vista sia produttivo, sia commerciale. Negli stessi anni, lo Studio Ghibli pubblica al cinema film come Porco Rosso (1992) e Principessa Mononoke (1997), lungometraggi che trionfano soprattutto in Occidente e che, finalmente, portano Hayao Miyazaki ad essere riconosciuto come grande artista prima negli Stati Uniti d'America e dopo nel resto del mondo, mentre la Production I.G e Mamoru Oshii realizzano il capolavoro assoluto Ghost In the Shell (1995). Questa fioritura dell'animazione giapponese arriva anche in Italia tramite Anime Night (1999/2010) di MTV, programma nel quale le serie animate orientali vengono trasmesse con molte meno censure rispetto agli anni '80, periodo in cui, invece, i primi anime venivano distribuiti in italiano solo dalle emittenti RAI e Mediaset.



Neon Genesis Evangelion | Daelar Animation
© Gainax | © Tatsunoko


Sempre in questo periodo entra in scena un autore all'epoca sconosciuto, Shin'ichiro Watanabe, artista visionario che con poche opere cambia stilisticamente il medium in maniera irreversibile. La sua carriera nel mondo dell'animazione comincia presso lo studio Sunrise, casa di produzione nella quale lavora come regista degli episodi delle serie Obatarian (1990), Mobile Suit Gundam 0083: Stardust Memory (1991), Genki Bakuhatsu Ganbaruger (1992) e I Cieli di Escaflowne (1996) di Shoji Kawamori, mentre nel 1998 scrive e dirige la sua prima opera autoriale: Cowboy Bebop. L'anime, inizialmente concepito come serie per pubblicizzare modellini di astronavi creati dalla Bandai, viene affidato dalla Sunrise a Watanabe senza alcuna imposizione, motivo per il quale il regista può dunque sperimentare come meglio crede qualsiasi tipo di soluzione visiva e/o narrativa per comporre la propria opera. Nel progetto vengono coinvolte sceneggiatrici del calibro di Keiko Nobumoto e Michiko Yokote, animatori come Kimitoshi Yamane che curano il mecha design delle astronavi e la compositrice Yoko Kanno. Cowboy Bebop è ambientato nel 2071, in un universo nel quale la maggior parte degli esseri umani ha ormai abbandonato la Terra e si è trasferita sugli altri pianeti del sistema solare. Il luogo più gettonato è Marte, ambiente corrotto in cui risiede una delle organizzazioni mafiose più pericolose in assoluto: il Red Dragon.



Cowboy Bebop | Daelar Animation
© Studio Sunrise


Nel world building creato dal "tandem" Watanabe & Nobumoto viaggia per lo spazio il Bebop, un'astronave in cui vive un singolare gruppo di cacciatori di taglie: Spike Spiegel, un giovane cowboy eccentrico ma allo stesso tempo cinico e pensieroso; Jet Black, un ex poliziotto di poche parole; la scaltra e bellissima Faye Valentine; una giovane hacker di nome Edward e Ein, un cagnolino estremamente intelligente. Ogni personaggio spicca sia per il proprio character design, sia per il proprio carattere e background, particolari che vengono approfonditi con il passare degli episodi e che sono accomunati dalla tematica concettuale principale della serie, ovvero il peso del passato. La natura autoconclusiva di quasi tutti i ventisei episodi rende Cowboy Bebop un anime unico e del tutto sui generis, dove ogni personaggio protagonista vive un'avventura all'interno di una micro-trama personale e nel quale i legami tra i personaggi si instaurano puntata dopo puntata attraverso brevi sequenze conviviali.


Volevo continuare a vivere un sogno dal quale non svegliarmi mai,

ma poi all’improvviso mi sono svegliato.

(Spike Spiegel | Session #26 - The Real Folk Blues, Parte 2)



Cowboy Bebop | Daelar Animation
© Studio Sunrise


Spike rappresenta il personaggio scritto con la maggior carica drammatica del gruppo di protagonisti, un malessere esistenziale che lo perseguita e che ne divora un animo assetato sia di compassione, sia di vendetta. La perdita e, allo stesso tempo, la dipendenza dai ricordi e dalle sensazioni passate portano Spike a evadere dal proprio Io, dalla propria identità, dalle proprie origini e soltanto l'odio (Vicious) e l'amore (Giulia), sentimenti entrambi corrisposti dai suoi due legami più importanti, possono far tornare la mente del personaggio alla sua vera natura. Jet Black, invece, esprime un lato più disilluso, disincantato e sicuramente rassegnato del rapporto tra presente e passato. L'ex poliziotto vive da eremita siccome l'unica persona di cui può fidarsi è sé stesso, ma non per questo denigra gli altri membri del Bebop che, anzi, tratta quasi come figli. Faye Valentine, "la Fujiko Mine degli anni '90", si presenta di facciata come una femme fatale dai tratti provocanti, mentre sotto la sua apparenza si nasconde una personalità dilaniata dalla solitudine e dalla assenza di qualsiasi luogo o persona a lei cara. Infine, Edward rappresenta un nuovo e originale archetipo di Conan della serie Conan Il Ragazzo del Futuro (1978), una bambina con delle incredibili capacità informatiche che vaga in una Terra completamente distrutta.



Cowboy Bebop | Daelar Animation
© Studio Sunrise


La giovane, cresciuta senza alcun tipo di educazione e scolarizzazione, si interfaccia con gli altri protagonisti per puro caso e, come loro, esprime un rapporto contorto con il proprio passato. Il padre di Ed, infatti, si trova sulla Terra ma non sembra realmente interessato ad accudire la figlia. Più che le capacità informatiche, è proprio questo che differenzia Edward da Conan, che invece è un orfano perché scritto da artisti che hanno vissuto in prima persona la Seconda guerra mondiale.


La bellezza di Cowboy Bebop non si ritrova solamente nella meticolosa psicologia del gruppo corale di personaggi, bensì soprattutto nell'aspetto scenografico e tecnico dell'opera. L'animazione dello studio Sunrise rappresenta una delle vette qualitative dell'animazione seriale degli anni '90, anche grazie alle interessanti presenze di elementi in CGI ottimamente elaborati per alcuni fondali spaziali, e si presenta estremamente curata per ciò che concerne l'essenza più dinamica della serie animata, ovvero le molte scene di combattimento. L'opera di Watanabe & Nobumoto riporta città ricche dove uomini d'affari si riuniscono per il gioco d'azzardo o per spacciare droga in pieno stile pulp, luoghi marci e desolati che richiamano il far west, atmosfere fumose e tetre dal sentore noir, elementi sci-fi vicini sia alla space opera, sia al cyberpunk, il tutto accompagnato da una straordinaria colonna sonora composta da Yoko Kanno.



Cowboy Bebop | Daelar Animation
© Studio Sunrise


La musica della fenomenale pianista, interpretata dal suo gruppo musicale The Seatbelts, rappresenta in assoluto il vero capolavoro artistico della serie, un'orgia sonora nella quale concorrono una moltitudine di generi musicali, tutti rigorosamente parte della cultura statunitense più radicata e originaria come dixieland, bebop jazz, roots blues e country, che alimentano in maniera esponenziale la riuscita e la carica epica di una già mirabile regia di Watanabe. Yoko Kanno, tuttavia, non si ferma alla scrittura di energiche e sincopate strutture big band e, in certi frangenti come nel brano Space Lion, recupera persino canti folkloristici nativi per immergerli in una new age neoclassica sognante che rimanda tanto alla musica di Vangelis, quanto a quella di Hajime Mizoguchi, il marito della compositrice. Il segreto del successo di Cowboy Bebop è il continuo riferimento alla cultura americana, elemento che, oltre alla musica, non manca di esprimersi attraverso citazioni lunghe anche un intero episodio, come nel caso di Toys In the Attic (session #11), puntata che richiama in tutto Alien (1979) di Ridley Scott. La composizione della serie animata, mansione affidata a Keiko Nobumoto, si suddivide in puntate - denominate sessions come gli eventi collettivi in cui i musicisti jazz improvvisano e suonano insieme - che sviluppano una macro-trama sconnessa, intrigante e improntata sulle vicende, passate e presenti, di Spike Spiegel.



Cowboy Bebop | Daelar Animation
© Studio Sunrise


Solo quattordici episodi su ventisei totali sono story-driven, ovvero portano avanti il racconto principale o le singole trame dei protagonisti, mentre le restanti dodici o approfondiscono l'universo narrativo, o si presentano come ottimi spunti registici per consentire a Schin'ichiro Watanabe di sbizzarrirsi attraverso generi, atmosfere, trovate stilistiche e citazioni a classici del cinema hollywoodiano. Assieme alla Nobumoto e a Michiko Yokote, sceneggiatrici che scrivono la maggior parte delle puntate, si uniscono altri tre scrittori che, ognuno con il proprio stile, strutturano le restanti sessions di Cowboy Bebop, creando in questo modo un insieme eterogeneo di avvenimenti e di vicissitudini spaziali. Gli episodi Gateway Shuffle (session #4), Pierrot Le Fou (session #20) e Boogie Woogie Feng Shui (session #21), per esempio, vengono tracciati da Sadayuki Murai utilizzando l'espediente dell'avventura soprannaturale - a volte "orrorifica" - per creare storie autoconclusive dal respiro trascendente e ultraterreno, mentre Ganymede Elegy (session #10), Speak Like a Child (session #18) e Wild Horses (session #19), scritti da Akihiko Inari, riflettono un tono più sostenuto, drammatico e nostalgico. Le puntate Jamming with Edward (session #9), Bohemian Rapsody (session #14) e Brain Scratch (session #23), invece, vengono strutturate da Dai Sato e rappresentano i capitoli della serie in cui il genere sci-fi viene espresso con caratteri più filosofici, esistenziali e spirituali attraverso riferimenti, anche piuttosto espliciti, a capolavori cinematografici come 2001: Odissea nello Spazio (1968) e Blade Runner (1982).



Cowboy Bebop | Daelar Animation
© Studio Sunrise


In tutto questo calderone stilistico e concettuale, Watanabe dirige con maestria ogni sfaccettatura della messa in scena, dalle sequenze d'azione a quelle più meditative, realizzando di fatto una delle migliori serie animate di sempre, anche dal punto di vista registico. Le scene più memorabili dell'anime comprovano la straordinaria abilità dell'artista di saper coordinare elementi sonori e visivi con una straordinaria armonia, come per esempio accade durante lo scontro nella cattedrale in Ballad of Fallen Angels (session #5), oppure nel corso dei due doppi episodi Jupiter Jazz (sessions #12 e #13) e The Real Folk Blues (sessions #25 e#26). Cowboy Bebop è l'opera animata giapponese cult per eccellenza degli anni '90 - addirittura più di N.G.E. - poiché rispecchia in ogni sua forma la cultura occidentale trasposta in space opera. L'importanza e la qualità artistica di questo anime rispecchiano infatti quanto nel 1998 il Giappone avesse ormai assorbito e assimilato gli usi e i costumi statunitensi, tanto da non dover progettare di fatto niente di nuovo, bensì dover montare in modo saggio e sensato dei pezzi di cultura di massa americana per poter creare un'opera unica nei suoi generi. La serie, in questo senso, è un vero miracolo creativo dato che raffigura in pieno e in modo originale più di un decennio di popular culture.



Cowboy Bebop | Daelar Animtion
© Studio Sunrise


In seguito all'enorme successo internazionale dell'anime, lo studio Sunrise, in associazione con lo studio Bones, delega al "tandem" Watanabe & Nobumoto il film spin-off della serie: Cowboy Bebop: Il Film, conosciuto in Giappone come Cowboy Bebop - Knockin' on Heaven's Door. Il lungometraggio rappresenta il meglio di tutti gli elementi, sia scenografici che stilistici, più riusciti dell'opera originale: un setting vario e multiculturale nel quale si ergono architetture futuristiche, mediorientali e industriali, una storia che nella sua linearità mette in campo ogni forza e debolezza dei personaggi, un villain spietato che agisce per rancore verso un sistema corrotto, una regia che si addentra silenziosa nei vicoli della metropoli e che si catapulta in modo sorprendente in cielo seguendo le scie e il volo delle astronavi, delle animazioni in tecnica tradizionale che integrano sapientemente pochi ed eleganti elementi in CGI e una colonna sonora mozzafiato di Yoko Kanno. Cowboy Bebop: Il Film, per quanto metta in scena una trama profondamente ispirata a Patlabor 2: Il Film (1993) di Mamoru Oshii e sia di fatto una lunga puntata high-budget dell'anime del 1998, ancora oggi è da annoverare tra i migliori film d'animazione spin-off che siano mai stati realizzati, siccome, nonostante non aggiunga nulla di nuovo alla serie, si presenta agli occhi dello spettatore come una solida ovazione a tutto ciò che rappresenta il capo d'opera di Watanabe & Nobumoto.

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