Hiroyuki Okiura comincia a lavorare alla tenera età di sedici anni, quando decide di lasciare gli studi superiori e dedicarsi esclusivamente al mondo dell'animazione. Viene da subito considerato un talento naturale come animatore, visto che non ha una formazione accademica, e dopo un primo periodo allo studio Anime R entra alla fine degli anni '80 nel nucleo produttivo originale della Production I.G, futuro colosso dell'animazione mondiale. Qui viene scelto da Mamoru Oshii per far parte del gruppo Headgear, la divisione freelance sperimentale della casa di produzione. Nel corso degli anni Okiura colleziona una delle liste di crediti più invidiabili della storia del cinema animato giapponese: Akira (1988, key animator), Patlabor: Il Film (1989, key animator), Patlabor 2: Il Film (1993, assistant animation supervisor), Memories (1995, key animator), Ghost In the Shell (1995, character designer, animation supervisor, layout artist), Cowboy Bebob: Il Film (2001, regista e key animator della sequenza iniziale) e Innocence (2004, character designer, animation supervisor) sono le opere principali a cui lavora come tecnico.
Nel 1995, per volere dei vertici di Bandai Visual e Production I.G, Okiura comincia anche la sua carriera di regista con Jin Roh, opera pensata e scritta da Oshii. Questa scelta infatti non verrà mai pienamente condivisa dal creatore del soggetto originale, il quale in più occasioni criticherà aspramente i produttori per non avergli dato in mano le redini del proprio progetto [1].
Tre anni più tardi esce il film, un reale pezzo di storia dell'animazione poiché rappresenta il primo grande distacco tra generazioni di artisti all'interno del cinema animato giapponese. Jin Roh infatti racconta una storia crudele e ideale, in cui lo scontro generazionale tra chi è cresciuto in Giappone durante il dopoguerra e chi, invece, è nato durante il boom economico degli anni '60 viene a galla attraverso un universo narrativo distopico e adulto sia in termini di simboli(smi) e significati, sia in termini grafici, dai tratti estetici e caratteriali dei personaggi al setting dell'opera. Nel mondo scritto da Mamoru Oshii, il Giappone ha perso la Seconda guerra mondiale non per mano statunitense, bensì per mano tedesca. Il disastro nucleare che ha decretato la "grande sconfitta" giapponese è comunque avvenuto e la Germania nazista ha occupato l'arcipelago negli anni successivi la fine dei conflitti. Il passato parallelo creato da Oshii cambia dunque gli attori ma non la sostanza degli eventi storici.
Il film è ambientato in una data precisa: il 9 febbraio del 1962. L'agente dell'Unità Speciale della DIME Kazuki Fuse non riesce a sparare a una giovane terrorista, la quale pochi secondi dopo si fa saltare in aria. Dopo settimane passate in terapia sia fisica che psicologica, Fuse deve fare i conti con una Tokyo che sta rapidamente cambiando in attesa dei giochi olimpici del 1964, evento che farà decollare il Giappone tra le nuove superpotenze mondiali.
Molti sono i poli che si oppongono l'uno all'altro in visione del "miracolo economico" annunciato dal governo: il potere, le forze dell'ordine, la rincorsa al benessere, l'apertura del Giappone verso il mondo, gli usi e i costumi occidentali si scontrano violentemente contro gruppi antigovernativi, terroristi, manifestanti che lottano perché il Giappone possa ancora avere delle radici culturali incontaminate, lavoratori sfruttati e conservatori che vedono sotto i loro occhi una nazione che giorno dopo giorno perde la propria identità popolare. Mentre la sceneggiatura di Oshii lascia trasparire l'atmosfera calda e la collera che si respirano nell'aria, la regia di Okiura invece colora il film con tinte fredde e quanto più inespressive. Proprio dalla messa in scena del lungometraggio si capisce dunque che un altro scontro è in atto, questa volta durante la produzione dell'opera e non all'interno della storia. Infatti Oshii, ideatore della Kerberos Saga (di cui Jin Roh è solo l'ultima opera cinematografica), se avesse potuto dirigere a modo suo avrebbe supervisionato un'opera decisamente diversa: più politica e simbolica, meno concentrata sulla storia d'amore tra i due protagonisti e ancora più spietata di quanto comunque risulti già in più istanze il film di Okiura.
Storia della produzione e i risvolti tematici di Rotkäppchen
Jin Roh, appena dopo la conclusione di Ghost In the Shell nel 1995, viene pensato inizialmente come una serie per il mercato home video divisa in sei puntate, un metodo di pubblicazione che il gruppo Headgear di Oshii aveva già adottato per gli spin-off di Patlabor (1988/1989), per l'anime "teatrale" Gosenzo-sama Banbanzai (1989/1990) e per la serie antologica, mai davvero conclusa, Twilight Q (1987).
Dopo aver strutturato il lavoro, Oshii dà quindi al promettente animatore e character designer Hiroyuki Okiura la possibilità di dirigere una delle puntate del nuovo progetto. Il piano sembra avere una propria direzione creativa definita, tuttavia, quando Oshii si deve confrontare con i produttori per lo stanziamento del budget, l'idea sul formato seriale non piace e così, tra il 1995 e il 1996, i vertici di Bandai Visual e della Production I.G decidono autonomamente di cambiare la natura di Jin Roh, mutandone l'estensione in lungometraggio animato e, inoltre, ponendo alla regia e alla completa supervisione del film Okiura e non l'ideatore dell'opera. Una volta (ap)presa tale decisione, la produzione del lungometraggio dura circa quattro anni, fino al novembre del 1999, mese in cui il film viene presentato in Francia prima che in Giappone. Il giovane regista, per essere alla sua prima esperienza, compie un lavoro straordinario. Senza dare troppo conto al soggetto scritto da Oshii e addolcendo certe sequenze, il film che viene alla luce è un vero e proprio cult dell'animazione giapponese. Sotto una pioggia battente, infatti, personaggi scritti per far emergere il contorno della storia - ed evidenziare dunque la crudeltà delle fazioni in campo (il potere e la ribellione) - risultano esseri umani spenti e privi di espressività vivaci, di emozioni accese e di vita pulsante. Tutto il rancore scritto da Oshii viene trasportato quindi da livello sociologico del mondo esterno a livello psicologico del singolo, del mondo interno ed emotivo.
Grazie anche alla fotografia di uno dei migliori professionisti della storia dell'animazione, Hisao Shirai (Il Mio Vicino Totoro, Pioggia di Ricordi, Ghost In the Shell, The End of Evangelion, Perfect Blue, Millennium Actress), Jin Roh acquista da dopo l'incipit un valore folkloristico e antropologico diverso da quello che voleva l'autore dell'opera. Nulla del lavoro di Oshii viene del tutto stravolto, ma il focus si sposta da un universo macro a uno molto più piccolo e intimo, forse anche per l'oculatezza di un Okiura che non vuole "strafare" alla sua prima regia dato che, come detto da lui stesso in più di una intervista [2], nel periodo nel quale lavorava al film sentiva ogni giorno tutta la pressione che i produttori gli facevano incessantemente percepire. In quest'ottica divisa, dunque, si sviluppano i cardini concettuali dell'opera: Rotkäppchen e il concetto di "uomo-cane". Per Oshii, cresciuto durante gli anni delle rivolte studentesche dei primi anni '60, la fiaba di Cappuccetto Rosso serve a esemplificare l'andamento distruttivo del popolo giapponese, il suo essersi adagiato a una vita spensierata e priva di reale libertà. In Jin Roh, infatti, gli individui non agiscono secondo la propria volontà, bensì sono vittime di eventi che non possono gestire e di persone che manipolano costantemente passato, presente e futuro dei personaggi. La prospettiva di Oshii è quindi improntata all'analisi della società giapponese e al rifiuto di un sistema che obbliga le persone a cibarsi del proprio Paese prima che esso le divori a sua volta.
La poetica più sociale di Oshii, da questo punto di vista, è rafforzata da una delle sue migliori sceneggiature, la quale, assieme a quelle di Patlabor 2: Il Film (1993) e di Blood: The Last Vampire (2000), rispecchia in maniera lampante l'astio dell'artista nei confronti del Giappone colonizzato, reso docile dai potenti e cieco di fronte alla realtà dei fatti, ovvero che la pace e la libertà sono e saranno sempre gigantesche illusioni per ammaliare le masse. Okiura recupera solo in parte questa chiave di lettura estremamente complessa e incorpora i due protagonisti nella vera fiaba di Charles Perrault, quella originale in cui non vi è alcun tipo di lieto fine. Le dimensioni simbolica e morale del film prendono infatti in prestito quelle del racconto Cappuccetto Rosso del 1697, nel quale la protagonista viene mangiata dal lupo senza poi essere salvata dal cacciatore.
Il nome del protagonista di Jin Roh, Fuse, è composto dagli ideogrammi "uomo" e "cane". Il nome significa letteralmente ciò che un uomo dice a un cane per tenerlo sotto il suo controllo: "a cuccia!". Il cognome Kazuki, invece, vuol dire "coerente" o "fedele". Il personaggio principale, dunque, rappresenta sia il braccio del potere che obbedisce agli ordini senza fiatare, sia la costante filosofica cartesiana di "essere pensante" per potersi definire reale. Nonostante nel film non siano presenti citazioni a René Decartes (rimandi molto comuni nei film di Oshii), la natura animalesca di Fuse non lo eleva comunque a essere umano.
"Non siamo uomini vestiti da lupi, siamo lupi vestiti da esseri umani" dice il comandante dell'Unità Speciale, indicando che per esserne membro, una persona deve rinunciare alla propria umanità e deve diventare parte di un branco che esegue senza ragionare e senza scrupoli. Compiendo un parallelismo con Innocence (2004), sempre di Oshii, Kazuki Fuse è il Bato che si è arreso alla condizione di essere una proprietà altrui, che non ha capito l'importanza del ghost per potersi definire reale. Jin Roh però non parla di realtà, ma dell'appartenere all'umanità, e come il corpo di Bato appartiene alla sezione nove, quello di Fuse appartiene al governo. Essi sono entrambi schiavi del potere. Uno è lo schiavo costantemente pensante ma troppo impaurito per sbarazzarsi del proprio corpo, mentre l'altro è lo schiavo che pensa solamente nei pochi momenti di dubbio, in quegli istanti che gli fanno sembrare la propria vita una vita degna dell'essere umano.
Generazioni a confronto: interpretazione della realtà e tecniche di realizzazione
Jin Roh è considerato da molti l'ultimo kolossal analogico del cinema d'animazione giapponese. Quando la direzione del progetto viene affidata a Okiura, il giovane animatore pone delle condizioni che, se non rispettate dai produttori, lo porterebbero immediatamente ad abbandonare la regia del lungometraggio. Le condizioni sono che il film racconti la storia di un uomo e di una donna e che la trama non sia tratta da un capitolo del manga di Oshii Kenro Densetsu (La Leggenda dei Cani-Lupo, 1988), fumetto che delinea l'universo distopico della Kerberos Saga.
Okiura mette subito in chiaro, dunque, che la sua prima esperienza come regista deve trattare un soggetto ex-novo, non un racconto riciclato. Tali condizioni, così ferme e decise, portano Mamoru Oshii a comprendere che il proprio progetto possa trovarsi - tutto sommato - in buone mani, tuttavia l'ideatore di Jin Roh, anche all'uscita del film nelle sale cinematografiche, esprimerà sempre una forte frustrazione per le decisioni arbitrarie subite da Bandai Visual e dalla Production I.G; un senso di fastidio che verrà infatti sfogato in una storica intervista visibile nei contenuti speciali del dvd/blu-ray italiano edito da Yamato Video [3]. Il distacco maggiore che si percepisce osservando il lungometraggio di Okiura rispecchia il divario generazionale che in più frangenti divide il film, un'opera prima creata e pensata su basi scritte da un uomo appartenente alla "generazione limite" (1955-1965), quando il Giappone, appena uscito dall'occupazione statunitense, stava cercando di rialzarsi e di ricucire le ferite causate dalla Seconda guerra mondiale, e poi animata e diretta da persone nate invece dopo le Olimpiadi di Tokyo, ovvero durante il boom economico. Secondo Oshii, chi non ha visto e vissuto il Giappone prima che diventasse il Paese che è oggi non può capire fino in fondo l'importanza degli ideali, della lotta per far sentire la propria voce, dell'essere intellettualmente anarchici. Okiura sicuramente ha creato un film dall'impatto emotivo notevole, anche grazie alle meravigliose musiche di Hajime Mizoguchi (marito della compositrice Yoko Kanno), dal gusto estetico originale e interessante, ma non è riuscito a trasmettere il dramma nazionale scritto da Oshii, ridimensionandolo a dramma umano e, perciò, perdendo parte della cornice concettuale con cui erano state impostate l'opera scritta e l'intera Kerberos Saga.
Sul versante più tecnico, grazie a sovrapposizioni di lastre per la colorazione dei disegni e dei fondali, Jin Roh acquista tinte tenui e opache, tendenti all'ocra e al seppia. Lo staff cerca, dunque, di sviluppare la narrazione all'interno di un'atmosfera nella quale gli anni '60 non vengano solamente percepiti ma proiettati letteralmente in uno schermo dell'epoca. Inoltre, il character design di Okiura dona importanza ai volti, agli sguardi, alle rughe dei personaggi, offrendo loro quell'aspetto serioso e scavato che prima aveva contraddistinto Patlabor 2: Il Film e Ghost In the Shell e che, nel 2011, caratterizzerà il secondo film del regista: Una Lettera per Momo. Il primo lungometraggio diretto da Okiura si rivela un unicum nella storia dell'animazione giapponese, un progetto ambizioso ma incompleto, complesso ma ambivalente, che non riesce a esprimere la totalità dei suoi contenuti. Tecnicamente si presenta rigido, statico e contemplativo come un noir hollywoodiano, tuttavia le atmosfere plumbee e il manto di tristezza che abbracciano l'opera sorprendono una regia che, per quanto inesperta, sa posarsi dolcemente in primi piani ricchi di luce espressiva. Jin Roh è indiscutibilmente un capo d'opera, per quanto travagliato; è un grido di rabbia al quale Okiura ha preferito spegnere la voce, ma anche se non abbraccia l'indagine di Oshii, sa scuotere gli animi attraverso una macabra favola di uomini e di bestie perennemente agitate in un conflitto sia fisico che - soprattutto - interiore.
Una Lettera per Momo: la resilienza come strumento per sopprimere il dolore
Il secondo e, per adesso, ultimo lungometraggio animato diretto da Okiura arriva nelle sale giapponesi ben dodici anni dopo Jin Roh. Una Lettera per Momo è un'opera dal target adolescenziale che privilegia l'introspezione, la caratterizzazione e i tratti visivi dei personaggi al dinamismo scenico. Proprio la componente tecnica del character design di Okiura qui raggiunge la piena maturità. Facile delineare forme squadrate, minimali e colorate con tinte tenui quando bisogna contestualizzare ambienti sci-fi, ma creare - riuscendoci - un ponte tra mondo reale e folklore giapponese disegnato con caratteri spenti perché spento è l'animo della protagonista è tutt'altra faccenda. Momo, infatti, è una ragazzina che deve superare un lutto importante, la morte del padre, e per riuscirci cerca di decifrare e di analizzare la lettera che lui le ha scritto poco tempo prima di andarsene per sempre. La monotonia delle giornate e lo sconforto vengono stravolti dall'arrivo di tre demoni, i quali aiutano Momo a ritrovare sé stessa. Seppur non molto originale - basti pensare a Il Mio Vicino Totoro o Un'Estate con Coo - Una Lettera per Momo si distingue tra i vari film d'animazione leggeri e per famiglie proprio grazie a Okiura, qui anche scrittore del soggetto e della sceneggiatura, in quanto il regista pone sempre l'attenzione sulle reali emozioni dei personaggi senza mai inserire il dramma in primo piano. La resilienza quindi diventa il vero cardine concettuale dell'opera e, partendo da essa, il personaggio di Momo riuscirà a riprendere in mano la sua vita, non lasciandosi dunque travolgere dal dolore.
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APPROFONDIMENTI
[1] [2] [3] Mizoguchi, Hajime; Ogura, Hiromasa; Okiura, Hiroyuki; Oshii, Mamoru (1999). "Speculazioni su Jin Roh". Making of 人狼. Production I.G. Bandai Visual. Yamato Video. [Link video assente | Documentario reperibile negli "extra" dell'edizione home video italiana del film]