Se Isao Takahata ha sempre descritto diverse realtà con fedeltà storica e geografica impressionanti, Hayao Miyazaki, invece, ha sempre voluto raccontare incredibili storie usando più la fantasia come espediente narrativo. Eppure, con Si Alza Il Vento, il maestro plasma una trama che percorre, quasi come il romanzo da cui è tratta l'opera, la vita di Jiro Horikoshi, un progettista di aerei da guerra famoso per avere ideato i velivoli protagonisti dell'attacco di Pearl Harbor, impregnando dunque meno del solito il racconto visivo con bizzarrie fantasmatiche o ricavate dal folklore giapponese. Miyazaki costruisce una storia che si equilibra perfettamente tra l'onirico e il realismo, seguendo passo per passo le vicende vissute dal protagonista e alternando sequenze dinamiche, quasi di tensione, a scene poetiche e romantiche. Queste ultime, tuttavia, alle volte si presentano distaccate e risultano quindi commoventi ma poco accessibili allo sguardo analitico dello spettatore. Si Alza Il Vento è uno dei capolavori assoluti del maestro, un testamento umano e artistico meticoloso, tuttavia il film presenta lievi deficit a livello espressivo dettati da una scrupolosa auto-analisi del regista, specchio dell'opera che inevitabilmente ne annebbia parzialmente sia le potenzialità concettuali, sia le caratterizzazioni di alcuni personaggi anche principali.
Proprio Naoko, infatti, soffre della stessa mala-caratterizzazione parziale che descrive il protagonista di Arrietty (2010), scritto da Miyazaki senior e anche lui reso piatto e penoso dalla sua malattia incurabile. Avendo in sé così tante sfaccettature (la biografia, l'autobiografia, il racconto storico, quello poetico, quello analitico-onirico specchio dell'Hayao uomo più che del Miyazaki regista, quello melodrammatico) è inevitabile che nel film alcune di esse risultino messe alle volte in secondo piano. L'ultimo lungometraggio di Hayao Miyazaki è tanto intimo da sovrastare il racconto che narra e i personaggi (Jiro a parte, ovviamente, poiché rappresenta l'alter-ego del regista) che ne tessono l'intreccio, non scordandosi però di una trama tratta dalla biografia del vero Jiro Horikoshi. Il grande regista, anche per via del suo ego smisurato (basti vedere come si pone nelle interviste e come si muove nei documentari realizzati su di lui) [1], incentra il film su sensazioni personali, filtrate dalla storia che mette in scena. Tali circostanze e scelte autoriali definiscono Si Alza Il Vento il film più complesso del regista non dal punto di vista concettuale, bensì sul lato introspettivo, segreto, strettamente confidenziale. Perciò parlo di deficit a livello emotivo/espressivo: non si può capire del tutto il regista dal film, non si può capire del tutto il film se non si ha propria l'ottica del regista.
La regia, favolosa soprattutto nei sogni di Jiro, nelle scene del terremoto e in quella dei "bambini che aspettano i genitori", gli sfondi perfettamente definiti e le delicate e nostalgiche musiche di Joe Hisaishi vanno a comporre un'atmosfera dei primi Novecento concreta, a momenti percepibile. Le tematiche che il film affronta sono disparate: la situazione economico-sociale giapponese dagli anni '10 agli anni '40, la contrapposizione dell'amore del protagonista verso gli aerei e quello verso Naoko, l'idea della natura come ispirazione e la morale di un sogno che si sfalda come aeroplani in guerra ("opere d’arte maledette", come li definisce Caproni, la guida spirituale e professionale di Jiro nei suoi sogni). Questa è l'opera con più chiavi di lettura e meno lineare di Miyazaki, è il testamento artistico perfetto del suo lavoro come regista e animatore nel mondo del cinema e della televisione ed è la sua ultima e maggior dichiarazione di amore nei confronti della sua passione più viscerale, ovvero il volo, l'aeronautica. Ciò è ancora più constatabile che in Porco Rosso (1992), in quanto in Si Alza Il Vento gli aeroplani vivono, sono mossi non solo da aria ma anche e soprattutto dalla volontà e dalla sicurezza di Jiro; sono dotati di voce umana (chicca sonora assieme ai versi impetuosi del Terremoto del Kanto) e seguono inesorabili un destino infausto come quello che è costretto a subire il protagonista, il quale solo a un carissimo prezzo riesce alla fine del racconto a coronare il sogno di una vita.
Il salto qualitativo principale di quest'opera, seppur sia l'undicesima dell'autore, si può ritenere la trasformazione della poetica e della visione pacifista proprie del maestro Miyazaki: da attivista diventa storico. Ormai settantenne, il regista vuole raccontare una storia non di denuncia ma di ricordi e riflessioni, perciò ripiega su ambientazioni per la maggior parte realistiche e su una narrazione biografica e a tratti autobiografica, almeno sentimentalmente. Il personaggio di Jiro è, tra tutti quelli della sua carriera, quello che si avvicina di più al regista, un suo doppio che al posto di disegnare su carta lucida progetta aeroplani. Miyazaki, a lungometraggio ultimato, ha pianto dopo la prima proiezione del film nella sala privata presso lo Studio Ghibli [2]. A detta di Toshio Suzuki, poche volte il maestro era stato così provato dopo la visione di un proprio film [3]. Sicuramente vuol dire che di sé stesso ha voluto inserire non poco, e ciò è da considerare encomiabile. Avere ancora questo grado di sensibilità dopo quasi cinquant'anni nel mondo dell'animazione giapponese è sbalorditivo. Si Alza Il Vento è forse il suo lavoro meno immediato, ritenerlo il "più adulto", tuttavia, non mi sembrerebbe giusto. Direi invece che è il suo film definitivo, il lungometraggio della sua senilità, dell'età dove si è più predisposti a guardare indietro rispetto che avanti, a ricordare un passato amaro al posto che pensare a un futuro radioso.
Il disegno finale dell'opera non è volto al concetto di speranza come invece tutte le opere di Miyazaki hanno, nel bene o nel male. Si Alza Il Vento è forse più realistico proprio in questo e non tanto nelle ambientazioni. È quasi tragico e a tratti catastrofico, più disilluso, con il finale più triste e sconsolato di tutta la sua intera filmografia. Fa male vedere i personaggi e i loro sogni spegnersi o sgretolarsi, ma se si continua a vivere vuol dire che il vento soffia ancora, e che dunque il respiro che mantiene aggrappati alla vita deve alimentare anche la volontà di perseguire i propri obiettivi.
Il gigantesco punto forte del film è sicuramente il comparto tecnico con la fotografia come punta di diamante. Durante tutta la durata del film, la qualità dell'illuminazione e la gamma di colori e di sfumature utilizzate sono straordinarie. La miglior sequenza dell'opera è quella in cui Jiro incontra due bambini che aspettano i genitori sotto un lampione e porge loro del cibo appena comprato. Lì, in quel momento, sono presenti ogni poetica referenziale e autoreferenziale: da Il Mio Vicino Totoro (1988) a La Tomba delle Lucciole (1988), dunque anche un omaggio a "Paku-san".
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