Walt Disney muore nel 1967, senza riuscire a supervisionare di persona l'ultimo lavoro del suo studio, ovvero Il Libro della Giungla. Dopo la sua scomparsa, il team della Disney si ritrova in preda alla confusione e alla paura di non riuscire più a creare i capolavori che avevano incantato tutto il mondo negli anni precedenti. I film che usciranno fino a La Sirenetta (1989), che finalmente aprirà le porte al Rinascimento Disney, saranno infatti accolti tiepidamente sia dalla critica, sia dal pubblico. Tale periodo, tuttavia, non è da considerare il più cupo della Disney ma, anzi, si tratta di un momento particolarmente interessante perché è in quest'epoca che nello studio lavorano animatori competenti che daranno sia un grande aiuto allo sviluppo dell'animazione disneyana, sia una spinta verso cambiamenti degni di nota nel panorama generale dell'animazione. Tra questi professionisti, per esempio, si deve citare Don Bluth, che prima di lasciare definitivamente la Disney lavora come animatore in Robin Hood (1973), in Le Avventure di Bianca e Bernie (1977) e in Red e Toby (1981), oppure un giovane artista di nome Tim Burton, animatore che comincia la propria carriera presso la Disney lavorando a una pellicola atipica, un film d'animazione diverso dagli standard della casa di Topolino che tutt'oggi rimane sia in parte sconosciuto al grande pubblico, sia decisamente controverso: Taron e la Pentola Magica, il 25° Classico Disney.
Concezione e sviluppo
Nel 1978 esce Il Signore degli Anelli, film d'animazione diretto da Ralph Bakshi che ottiene un buon successo grazie ad atmosfere cupe, oscure e a uno stile estetico che influenzerà in maniera importante molte opere animate degli anni successivi, tra cui proprio Taron e la Pentola Magica. Visti i risultati piuttosto deludenti al botteghino degli ultimi classici animati, la Disney decide dunque di osare e di puntare su un genere che mai aveva preso in considerazione: il dark-fantasy. Nel 1973, la Disney aveva comprato i diritti cinematografici de Le Cronache di Prydain, pentalogia fantasy scritta dal romanziere Lloyd Alexander di cui, negli anni successivi, la casa di produzione decide di adattare solamente i primi due libri. Tale nuovo piano di lavoro, dopo diverse peripezie dovute a problematiche sia finanziarie, sia creative, inizia ufficialmente nel 1980 e si prolunga fino al 1985, anno di pubblicazione del 25° Classico Disney. La progettazione e la successiva distribuzione di Taron e la Pentola Magica risultano ardue fin dal loro principio. Il film, infatti, subisce diversi cambiamenti artistici in corso d'opera tra i quali, a detta di alcuni animatori che prendono parte al team di sviluppo, il fatto che il lungometraggio sarebbe dovuto apparire molto più cupo e più violento e che addirittura dodici minuti di visione sarebbero stati rimossi perché, secondo il produttore Joe Hale, tali scene avrebbero potuto turbare gli spettatori più giovani [1].
La Disney aveva alle spalle diversi classici con ambientazioni tetre e scene potenti che hanno segnato la storia dell’animazione, tuttavia con Taron e La Pentola Magica si opta per un film che interessi anche il pubblico adulto visti i successi di Ralph Bakshi negli ambienti underground del cinema statunitense e di Don Bluth con la sua prima opera Brisby e Il Segreto di NIMH (1982). Nonostante delle premesse altissime, il film però risulta un flop al botteghino e, tuttora, resta sia il classico disneyano che ha incassato di meno in assoluto, sia l’unica opera animata, assieme a La Bella Addormentata nel Bosco (1959), che ha rischiato realmente di mandare in fallimento la casa di Topolino. Il lungometraggio, grazie all’uscita delle VHS, riceverà successivamente più visibilità e, con il passare del tempo, riuscirà a dividere gran parte del pubblico. Se, infatti, una parte di esso lo reputerà un lungometraggio mediocre se non addirittura uno dei peggiori prodotti della Disney, l’altra lo elogerà per le ambientazioni cupe e per il coraggio dimostrato dalla Disney nell'aver tentato di realizzare qualcosa di diverso dai propri canoni.
Trama e analisi del primo tempo
Il film si apre con una breve introduzione che serve per contestualizzare la trama e per far capire allo spettatore a cosa gli eroi del racconto andranno in contro. La voce narrante racconta di un re malvagio che, dopo essere deceduto, rinchiude la sua anima in una pentola, un artefatto magico che mette subito in chiaro la propria natura sinistra. Si tratta infatti di un oggetto molto pericoloso e se, per qualunque motivo, esso dovesse cadere in mani sbagliate potrebbe soggiogare il mondo.
Dopo questo incipit si apre il primo tempo. Il protagonista Taron vive in una piccola radura, è un ragazzino immaturo e ignaro della realtà che lo circonda visto che per lui la guerra sembra essere solo un mezzo per ottenere la gloria eterna. A prendersi cura di lui c'è Dalben, un anziano che tiene impegnato il ragazzo a lavorare nella sua umile fattoria. Taron scopre che la maialina che accudisce è in realtà un oracolo - una chiave magica - e che Cornelius, un potente re stregone, la sta cercando sia per trovare la pentola, sia per usare la magia oscura come arma per conquistare il regno di Prydain. Taron, quindi, cerca di portare al sicuro la maialina, tuttavia, durante il tragitto viene assalito dalle guardie del re Cornelius, soldati che senza particolari difficoltà riescono a rapire l'oracolo. Il ragazzo, dunque, si incammina verso il castello dello stregone per cercare di liberare il prezioso animaletto, ma fallisce miseramente nel tentativo di salvarlo. Qui Taron incontra i personaggi secondari che si uniranno a lui: la principessa Ailin, il menestrello Sospirello e Gurghi, una simpatica creatura della foresta.
Il prologo è piuttosto breve e difficilmente lo spettatore può sentirsi preso dalle vicende. Fino a questo momento, infatti, sembra che l’intento del film sia quello di lasciare tutto sul vago. Subito dopo l’introduzione delle prime personalità, il film rivela alcune informazioni utili per la trama, situazioni didascaliche che tuttavia non possono far provare alcuna empatia verso i personaggi.
Non si sa, per esempio, che rapporto abbiano Dalben e Taron, non viene menzionata alcuna parentela e non è dato conoscere le motivazioni che spingono l'anziano a preoccuparsi così tanto per le sorti di Prydain. Il giovane Taron, invece, sogna di diventare un cavaliere esclusivamente per la propria gloria, ha delle motivazioni immature ma, per adesso, sembra essere giustificato nell'esprimerle in modo così frivolo. Il ragazzo, infatti, ha sempre vissuto in una zona pacifica del regno e sembra quindi non essere mai entrato in contatto con l'orrore e con la violenza del mondo.
Quando il protagonista cerca di portare al sicuro la maialina, ci si immerge nel luogo più oscuro di Prydain: il castello del re Cornelius. La presentazione dell'antagonista viene accompagnata da una colonna sonora potente ed evocativa di Elmer Bernstein (Il Buio Oltre La Siepe, I Magnifici Sette) e viene mostrata all'interno di un cimitero di scheletri. Purtroppo, anche il background del re malvagio risulta scarso ma, grazie anche al lavoro di Andreas Deja, uno dei character designer più importanti dell'animazione anglofona, esteticamente il personaggio si presenta subito originale e affascinante, caratterizzato con un atteggiamento elegante e con l’aspetto di un demone. Uno dei pregi del film sono gli sfondi impeccabili e il contrasto che si riesce a percepire tra la valle dove domina la tranquillità e i tenebrosi luoghi sotto il dominio di Cornelius.
Infatti, quando Taron si addentra nella foresta oscura, un paesaggio vicino al castello nel quale i colori diventano sempre più freddi, lo spettatore avverte subito la presenza di un pericolo anche se non lo osserva fisicamente. La scena successiva dove Taron prova a salvare la maialina da dei draghi risulta non solo visivamente eccellente, bensì una chiara dichiarazione della Disney di voler plasmare parte dell'opera con le caratteristiche estetiche proprie di Bakshi e di Bluth. Mentre l’inseguimento avviene in una foresta spoglia dove il cielo si tinge di rosso, il ragazzo rischia di andare in contro alla morte per riprendere il prezioso oracolo. L’atmosfera cupa abbraccia il film per tutto il primo tempo, il castello del re Cornelius, popolato da uomini senza scrupoli, viene infatti immerso in un'aria di terrore. Proprio qui Taron trova una spada magica che combatte da sola, un'arma che nello sviluppo della trama si renderà più che utile. Il lungometraggio in questa prima parte, dal punto di vista artistico, risulta molto affascinate, tuttavia si riscontrano già delle pecche nella scrittura. Non si sa, per esempio, come abbia fatto Cornelius a reclutare tutti i suoi uomini dato che nel film non vengono mostrati o nominati insediamenti o villaggi. Inoltre, non si capisce come faccia il protagonista a far scaturire le visioni alla maialina e le introduzioni di Ailin e di Sospirello vengono espresse in maniera piatta e frettolosa.
La ragazza si presenta come una principessa ma resta sempre sul vago, non dice a quale famiglia reale appartiene, non la si vede mai imporre la propria autorità e, in generale, serve solo come interesse affettivo/amoroso per il giovane protagonista. Sospirello, invece, rappresenta la classica macchietta comica e serve solo per fare divertire il pubblico più giovane insieme a Gurghi.
Trama e analisi del secondo tempo
Taron ritrova la maialina, salvata e tenuta al sicuro da un popolo di folletti. Grazie alle indicazioni del loro sovrano, il protagonista viene a sapere dove si trova la pentola magica e così, insieme ai suoi compagni, parte per andare a recuperare l’oggetto magico. La pentola viene costantemente sorvegliata da tre streghe e il ragazzo si trova costretto a cedere la propria spada alle fattucchiere in cambio della pentola. L'unico modo di porre fine alla tirannia di re Cornelius è distruggere l’artefatto e, per farlo, un essere vivente deve gettarsi volontariamente nel calderone, sacrificandosi e perdendo la vita. Purtroppo, anche le guardie di Cornelius trovano la pentola magica e, di conseguenza, avviano il loro piano malvagio: dare vita a un esercito di potenti cadaveri soldato.
Una delle migliori scene del film è proprio questa: l’esercito di scheletri prende vita avvolto da una nuvola verde e si avvia marciando fuori dal castello.
Nella seconda parte di film ci si trova di fronte a problemi di sceneggiatura di non poco conto. Taron, per esempio, si vanta per meriti che fondamentalmente non ha e richiede a tutti i costi dei riconoscimenti. Il personaggio, infatti, non si dimostra assolutamente cambiato e maturato dopo tutte le vicissitudini che ha dovuto affrontare. I momenti di dolcezza tra il ragazzo e Ailin, scene in cui lei cerca di infondergli speranza, fanno luce sul fatto che la principessa sia e rimanga per tutto il film un personaggio approssimato. Il lungometraggio, quando gli eroi finiscono nel territorio dei folletti, soffre anche di una incoerenza sia estetica che stilistica. I toni dark, infatti, scompaiono per lasciare spazio a colori luminosi e a siparietti comici infantili. Tale atmosfera rilassata si ritrova parzialmente anche quando i protagonisti incontrano le tre streghe (rappresentazioni della "triade femminile": la madre, l'anziana e la vergine), personaggi che ancora oggi risultano tra i più sottovalutati dell'intera produzione storica disneyana. Le fattucchiere, infatti, vengono caratterizzate in modo peculiare e riescono a spiccare come comparse grazie al loro umorismo pungente.
Trama e analisi dell'epilogo
Taron è sul punto di buttarsi nel calderone per sacrificarsi ma Gurghi si getta al suo posto, distruggendo così l’esercito di Cornelius, villain che viene risucchiato e che muore anch'esso nella magia dell'artefatto. Le streghe appaiono per reclamare l'oggetto magico e così avviene di nuovo uno scambio: la pentola al posto di Gurghi. Il baratto funziona, il personaggio ritorna in vita e tutti i protagonisti tornano a casa di Dalben.
La scena del sacrificio risulta concettualmente deludente. Infatti, sarebbe stato molto più avvincente vedere il ragazzo buttarsi e morire. In questo modo, Taron avrebbe dimostrato la propria crescita e non la sua definitiva caratterizzazione statica. Inoltre, sarebbe stato un grande passo per la Disney uccidere il protagonista dell'opera, forse un passo troppo audace e coraggioso per gli studios. È apprezzabile il gesto d'amore compiuto da Gurghi, tuttavia resta l'amaro in bocca nel non aver potuto vedere Taron sacrificarsi. Il lieto fine è assicurato e gli spettatori più piccoli possono restare tranquilli e osservare gli eroi sani e salvi. Sicuramente, in quest'ultima parte, gli autori Ted Berman, storico animatore Disney da Fantasia (1940) e già regista di Red e Toby, e Richard Rich, futuro fondatore e regista della Crest Animation Productions (L'Incantesimo del Lago, Il Re ed Io, La Voce del Cigno) potevano osare molto di più nel mettere in scena l'epilogo del racconto.
Conclusioni
Scrivere di Taron e la Pentola Magica è complicato. Il film non è ben scritto dal punto di vista sia della storia, sia dei personaggi. I buchi di trama sono presenti perché non vengono sviluppati dei background e degli archetipi adeguati e con le dovute spiegazioni. I personaggi, oltre a Taron, possiedono delle potenzialità e delle caratteristiche interessanti ma, purtroppo, non ricevono il giusto spazio nella trama. Il protagonista non matura, risulta un ragazzino sognatore, che vede la guerra come un gioco e che alla fine della propria avventura non impara nulla. Nel corso della storia, infatti, non viene accennato alcun tipo di riflessione sulla guerra o su cosa significhi essere realmente un eroe. L’unico gesto importante compiuto da Taron è l'aver rinunciato al suo sogno di cavaliere per riportare in vita Gurghi, ma questa sua redenzione istintiva non basta per poter cambiare in meglio la sua personalità fissa che non dà alcun insegnamento. Il film, d'altro canto, possiede pregi che meritano di essere portati alla luce. Taron e La Pentola Magica è, per esempio, il primo Classico Disney realizzato senza canzoni, senza dunque elementi musical e show tunes, ed è anche il primo a incorporare texture sperimentali in computer grafica per animare determinati elementi fisici dinamici come l'acqua, le sfere luminescenti e la stessa pentola.
Le sequenze più dark sono degne di nota e aggiungono un fascino unico al lungometraggio, infatti risulta piacevole vedere come in questo film la Disney abbia davvero provato a creare qualcosa di completamente diverso dai suoi canoni. Le motivazioni del suo insuccesso si riscontrano nel fatto che, nel 1985, il pubblico non era pronto per potersi godere una storia Disney con sfumature horror, abituato alle sognanti fiabe che lo studio aveva proposto negli anni precedenti. Il film ha anche subìto pesanti censure e ciò ha contribuito a produrre delle falle nella sceneggiatura, anche se probabilmente senza tagli la sua fragilità narrativa non sarebbe comunque migliorata molto e, anzi, avrebbe forse espresso le stesse problematiche. Nonostante questo, i pregi estetici del film rendono in definitiva il lungometraggio un progetto originale e accattivante, forse perché al giorno d'oggi i sentimenti come la paura e le atmosfere cupe risultano praticamente scomparsi nei classici odierni della casa di Topolino. Taron e la Pentola Magica rappresenta dunque un film che pecca nella scrittura ma che resta comunque interessante, un'opera che merita di essere vista almeno una volta nella vita. Sicuramente, chi è cresciuto con le produzioni Disney di questi anni e lo osserverà per la prima volta resterà affascinato dalla visione.
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