In ottemperanza alla cosmologia degli antichi, per la quale l'uomo deve seguire il continuo fluire dell'universo e della natura permeati dal qi - regolato dal ritmo ciclico dello Yin e dello Yang - nel turbolento Periodo delle primavere e degli autunni (781 a.C./477 a.C.) si afferma e si affianca nelle correnti filosofiche cinesi il concetto del dao. Il significato del termine, come spesso accade nella lingua cinese, è molteplice. Dao letteralmente significa "strada", "cammino" e, per estensione, "modo di procedere", "via". In un'accezione verbale, significa "camminare", "avanzare", se non addirittura "parlare", "enunciare". La fluidità del suo significato ha permesso alle varie correnti filosofiche cinesi di interpretare a proprio modo il dao. Tutte le scuole filosofiche però, concordano sul fatto che il dao propone un insegnamento sotto forma di enunciati con validità fondata non su un ordine teorico, bensì su un insieme di pratiche. Nel pensiero cinese, infatti, prevale sempre una riflessione sull'azione più che sulla conoscenza in sé. Non è quindi il sapere-cosa, come può essere il contenuto ultimo della verità, a guidare la filosofia cinese, ma il sapere-come, ossia come operare distinzioni al fine di dirigere la propria vita e di ordinare in modo consapevole lo spazio sociale e cosmico. L'azione, tuttavia, non si limita a essere un'applicazione di un discorso, ma ne è la sua misura. Il discorso, dunque, ha significato unicamente se ha presa diretta sull'azione. Il dao, quindi, struttura l'esperienza dell'agire umano: è la Via, il saper procedere dell'essere umano nel continuo divenire dell'universo e del mondo in cui vive. Il dao è dunque una via senza una meta esclusiva, un percorso di perfezionamento a cui l'individuo deve tendere perennemente, in quanto è nel suo operare che prende corpo la costituzione di ogni realtà [1].
Il dao permea il percorso formativo di quasi tutti i personaggi principali dell'universo di ATLA, ma è in particolare in due personaggi secondari che una duale, differente e allo stesso tempo sincretica interpretazione del dao colpisce più di tutti: Iroh e Zuko.
ATLA nel pensiero filosofico cinese: taoismo, confucianesimo e legismo
Iroh eredita principalmente l'interpretazione taoista del dao. L'aspetto fisico del Dragone dell'Ovest già richiama quello anziano, tozzo e con una barba non troppo folta ma elegante di Laozi, il presunto fondatore del taoismo. Oltre all'analogia fisica, Iroh condivide anche l'aura mistica e leggendaria del maestro cinese. Storicamente, infatti, non si è certi dell'esistenza del "vecchio maestro" (una delle traduzioni possibili del suo nome), e il Daodejing - il testo filosofico attribuito al leggendario filosofo - è una delle pochissime fonti storiche che potrebbe accertare la sua esistenza. Laozi divenne così nel corso dei secoli una divinità del pantheon taoista, e la sua aura divina viene ancora oggi rafforzata dalle leggende che circondano la sua persona. Famosa è la storia leggendaria della sua venuta al mondo come "vecchio bambino", dopo che questo aveva avuto una gestazione di sessantadue anni nella pancia di una donna. Ancora più leggendario è il mito che ritiene lui stesso il Buddha, dopo un suo presunto ritiro dal mondo per raggiungere l'ovest.
Il passato di Iroh ripercorre gli elementi mitici di Laozi, come il suo leggendario viaggio nel mondo degli spiriti e, nel sequel della serie (The Legend of Korra), egli stesso diventa uno spirito immortale che trascende la carne. Iroh, oltre a condividere dei parallelismi "biografici" con Laozi, ne incarna la visione del dao taoista, che è sia la Via, ossia la realtà ultima nella sua totalità che ha generato il Cielo e la Terra, sia la via del non-agire.
In un'epoca di continue guerre tra i vari regni per l'egemonia sulla Cina, Laozi si interrogava su come poter uscire dal circolo vizioso della violenza, arrivando alla soluzione paradossale di non fare nulla, di restare nella condizione del non-agire. Secondo il filosofo taoista, non agendo si può spezzare il cerchio della violenza perché assorbendo l'aggressione, e astenendosi dall'aggredire di rimando, si disinnesca l'escalation di violenza senza fine, rendendo così la stessa aggressione primaria inutile. Per esemplificare tale paradosso del "vincere cedendo", Laozi evocava la metafora dell'acqua. Osservando lo scorrere di tale elemento, il filosofo afferma come sia il più umile di tutti gli elementi, in quanto il suo scorrere naturale, senza opporre resistenza a nulla, riesce ad avere la meglio sui materiali più solidi. Per il taoismo diventa così la figurazione allegorica per eccellenza del dao, che come l'acqua scaturisce da una fonte unica e costante, si manifesta in una infinita molteplicità di forme e la sua natura è ineffabile e labile, ossia fra il nulla e il qualcosa. L'acqua diventa quindi la metafora perfetta per esemplificare il paradosso in cui è il debole che riesce a trionfare sul forte, ciò che è flessibile su ciò che è rigido e, infine, ciò che è molle su ciò che invece è duro. L'uomo taoista, dunque, deve con umiltà porsi più in basso dell'aggressore, in quanto ciò che provoca l'aggressione è il mettere l'altro in posizione d'inferiorità. Tale fondamento diventerà nei secoli la base filosofica delle arti marziali cinesi.
Il non-agire non significa però incrociare le braccia passivamente, ma nell'astenersi da ogni azione aggressiva, diretta, intenzionale, interventista, al fine di lasciare agire l'efficacia assoluta, ossia la potenza invisibile del de presente nel dao. Il de è la virtù e la potenza che risiede nel zhenren, l'uomo vero, autentico, uno spirito libero che vive in perfetta unità con sé stesso e con ogni cosa, esente da qualsiasi preoccupazione morale, politica e sociale. Il zhenren, esprimendo il suo de ed essendo saldo nella Via (dao), è invincibile, infallibile e inalterabile: è insomma l'essere nel quale ogni demarcazione tra Cielo e Uomo cessa di esistere. Il de è dunque la divina potenza spirituale che rende il zhenren colui che si fonde con il dao in un'esperienza descritta dai taoisti "viaggio dello spirito", ovvero una estasi - o volo mistico - che lascia il corpo materiale. Questo elemento riconferma l'aura mitica di Santo, il titolo dei maestri taoisti, di Iroh, che è diventato nella mitologia di ATLA l'incarnazione stessa della saggezza. Saldo nella via del dao, il saggio dominatore del fuoco è infatti diventato un tutt'uno con esso, tramutandosi in tale modo in uno spirito immortale. Questo a differenza del Signore del Fuoco, suo fratello Ozai, che nell'abuso della forza e della sua ferocia è finito con il diventare l'essere più debole e misero della serie animata dopo il suo scontro fisico, dialettico e filosofico con Zuko e Aang [2].
Iroh incarna dunque il modello di "uomo autentico" del zhenren, oltre che riprendere in modo quasi pedissequo la spontaneità e la virtù - il de - della filosofia taoista. L'essere uno dei più potenti dominatori della serie non lo pone in una posizione di superiorità, anzi, con umiltà insegna a Zuko che l'origine del suo dominio elementale non proviene dai suoi muscoli e dalla sua aggressività, ma dal suo respiro.
Questo principio, base del dominio del fuoco e ripreso dal taoismo, rispecchia il modo con cui la pratica e la disciplina del proprio qi (qigong) deve fondersi con la fluidità del proprio dao. Iroh, in linea con il "vincere cedendo" e con la metafora dell'acqua taoista, insegna a Zuko una tecnica del fulmine originatasi dallo studio del dominio dell'acqua. La tecnica è puramente difensiva: nel momento in cui si viene colpiti dal fulmine dell'avversario, il dominatore attaccato deve ricevere il fulmine e reindirizzarlo contro l'avversario, o meglio ancora, scagliarlo fuori dal proprio corpo. Nel solco del pensiero taoista, è sempre la seconda opzione quella intrapresa da coloro che hanno appreso questa tecnica difensiva. Aang e Zuko, infatti, una volta ricevuto il fulmine di Ozai, non lo riscagliano per ucciderlo. In questo modo, fanno cessare così la spirale di violenza, in linea con il non-agire taoista. Iroh, per tutto il corso della serie, segue il principio del non-agire innumerevoli volte, utilizzando quindi il suo dominio solo a scopo difensivo o per difendere qualcuno. Pure nella caccia all'Avatar di suo nipote Zuko, Iroh non vi partecipa mai attivamente, ma si assicura soltanto dell'incolumità di suo nipote e di fargli da guida spirituale. L'esiliato principe della Nazione del Fuoco, infatti, spesso rimprovera la pigrizia, il solipsismo e la leggerezza del vecchio zio, sempre interessato ad assecondare le passioni ed eccessivo nel suo essere "spontaneo come lo specchio taoista". Eppure Iroh, nel suo aderire sempre alla situazione così come si presenta e riflettendola perfettamente, rende il suo spirito puramente ricettivo e quindi pronto ad accogliere pienamente le cose, privilegiando la vita e ricercando il continuo cambiamento, come prevede il pensiero taoista.
Inizialmente, Zuko rifiuterà di apprendere tale qualità ma imparerà ad assimilarla nel corso del suo viaggio di formazione con lo zio e poi con il Team Avatar. Iroh, dunque, incarna pienamente il pensiero taoista per il quale l'individuo è centrale nella realizzazione del suo dao, la Via in cui è necessario il distaccarsi dagli scontri che affliggono il mondo per potersi concentrare sul proprio perfezionamento interiore [3].
Il Dragone dell'Ovest, tuttavia, non è l'unico personaggio a tendere a questa filosofia. Anche i suoi amici e compagni del Loto Bianco seguono tali principi taoisti (emblematico, per esempio, è il non-agire del re Bumi). I membri, infatti, si rivelano come una società segreta - molto simile alle sette taoiste - che trascende la divisione delle quattro nazioni con l'obiettivo di dedicarsi completamente alla contemplazione filosofica e alla condivisione del proprio sapere, senza curarsi dei conflitti che dilaniano il mondo. Tale pensiero politico di non interventismo è ricorrente nei taoisti, per cui l'organizzazione sociale trova legittimazione nel suo riflettere la struttura dell'universo da una parte, e del corpo umano dall'altra. Questa visione rappresenta l'antica utopia di una società priva di gerarchie, di uomini che, liberi da pregiudizi, da convenzioni sociali, da vincoli di leggi, sanno regolarsi da soli realizzando il dao. Anche l'ideale di sovrano taoista segue tale ordinamento armonico autoregolatore: nel suo non-agire senza nulla imporre, farà sì che lo stato si governerà modellandosi a lui. L'ideale del governante saggio che incarna il dao, così come il sogno della grande pace per restaurare l'armonia sociale in sfacelo, sono diventate nella storia una fonte di legittimazione per le dinastie imperiali cinesi.
D'altro canto, la stessa figura ha rappresentato anche una speranza, in chiave religiosa, per gli emarginati dei movimenti millenaristici di ribellione - spesso di ispirazione taoista - che volevano realizzare tale utopia rovesciando la dinastia a comando dell'impero cinese. Tra questi movimenti panteistici e universalistici, spesso frutto di un sincretismo tra diverse religioni come il taoismo e il buddhismo, ci fu anche quello del Loto Bianco [4]. Su ispirazione di quello vero, nella mitologia di ATLA viene ripresentata un'organizzazione segreta intenta a ristabilire l'equilibrio e l'armonia nel mondo. Uscendo allo scoperto per liberare Ba Sing Se, la capitale del Regno della Terra, il Loto Bianco ristabilisce la legittimità del Re della Terra, scacciando una volta per tutte l'occupazione illegittima della Nazione del Fuoco. Pur essendo un'azione offensiva quella del Loto Bianco, i suoi membri useranno solo in quel momento la loro potenza (de) come uomini di valore (zhenren), per ristabilire l'equilibrio armonico delle cose come prevede la loro Via (dao).
In opposizione al taoisimo vi è il confucianesimo, altra importantissima corrente filosofica cinese che ha una visione totalmente diversa del dao, anche se non mancano alcuni punti in comune tra i due pensieri. Tale opposizione di scontro e talvolta di incontro, che ha dato via a vari sincretismi tra le due filosofie nel corso della storia cinese, si riflette nella serie nel rapporto tra Zuko e Iroh. Il primo è perennemente ossessionato dalla caccia all'Avatar, perché catturarlo è l'unico modo che ha per ritornare in patria dopo un esilio durato tre anni, per ristabilire il suo onore nei confronti del padre - il Signore del Fuoco - e per potersi definire così il principale erede al trono. Il secondo, invece, insegnerà al nipote che il suo destino può essere diverso da quello impostogli dal padre, aprendogli mano a mano un nuovo percorso etico e morale, la Via, che porterà infatti Zuko a incarnare principalmente la visione confuciana del dao.
Come Laozi, il saggio maestro Confucio vive in un tempo turbolento caratterizzato da continue guerre sanguinarie tra i vari regni feudali, età detta "Periodo delle primavere e degli autunni" (781 a.C./477 a.C.). Egli, assistendo allo sfaldamento di un ordine politico precedente - quello della dinastia Zhou Occidentale - riprende e rielabora il pensiero degli antichi per formulare un nuovo pensiero sulla condizione intrinseca etica e morale dell'umanità. Il confucianesimo pone centralità sull'apprendimento, che è per propria definizione il naturale perfezionamento dell'essere umano. L'uomo, essendo perfettibile all'infinito, è predisposto naturalmente ad apprendere per migliorarsi come individuo, indipendentemente dalla classe d'appartenenza. Confucio, avendo una grande fiducia nella natura umana, riconosce in ogni uomo la volontà e la capacità di diventare un "uomo nobile", chiamato junzi. Il senso che ne dà Confucio è che la qualità di "uomo nobile" non viene determinata alla nascita, ovvero dal rango sociale della persona, bensì dal valore morale della stessa, perfettibile grazie all'apprendimento. Apprendere dagli altri - e non per gli altri - significa quindi imparare ad essere umani. L'umanità stessa non è un dato di fatto per Confucio, e per questo bisogna costruirla con altri individui, in modo da poter raggiungere una piena armonia sociale. La qualità peculiare dell'uomo, infatti, è il ren. Con tale termine, traducibile come "senso dell'umanità" o "qualità umana", si intende per il confucianesimo l'inscindibilità del proprio io da quello degli altri, in quanto la propria umanità altro non è che un punto di convergenza, ovvero di scambio interpersonale, con il prossimo. L'uomo nobile, dunque, non deve piegarsi a un pensiero morale che guida totalmente le sue azioni, ma è il legame morale stesso che deve venire per primo perché parte costitutiva naturale di ogni essere umano. Il ren rappresenta quindi un polo che, per necessità interiore di ogni individuo, bisogna sempre tendere all'infinito. Solamente in questo modo si può vivere in completa armonia con sé stessi e con la società.
Zuko condivide il retaggio aristocratico ed errante di Confucio. Entrambi si muovono in vari scenari di guerra, violenza e desolazione in cui, spogliati del loro titolo nobiliare e in esilio dalla propria terra, imparano con umiltà il significato ultimo di "uomo nobile" (junzi) e della qualità peculiare dell'uomo (ren). Zuko nel suo lungo viaggio interiore imparerà che viaggiare da solo non lo aiuterà a trovare il proprio posto nel mondo, così come non lo aiuterà a redimere il suo onore. La costante presenza di suo zio Iroh sarà di vitale importanza per comprendere finalmente il suo vero destino, la Via confuciana. Inoltre, gli insegnamenti dello zio su cosa significa essere compiutamente umani gli permetteranno di fare esperienza del ren una volta conquistata la fiducia e la lealtà del Team Avatar. Praticare "la via del ren", come dice Confucio, permetterà di considerare gli altri come ci si considera in prima persona, ossia adottare un comportamento che sia leale per sé stessi e mostrare mansuetudine (shu) verso gli altri. Tutto parte dunque da una esigenza centrale che metta l'uomo in equilibrio con sé stesso, detto "Mezzo giusto e costante" (zhongyong), che è un "bene superiore" al quale ogni esistenza deve tendere all'infinito attraverso un processo di mutamento e di scambio. È così che, una volta compreso il suo nuovo destino di dover aiutare l'Avatar a sconfiggere il Signore del Fuoco, Zuko conquisterà pian piano la fiducia (xin), il perdono, la lealtà e l'amicizia dei vari membri del Team Avatar, aiutandoli uno a uno a risolvere i loro conflitti interiori. La reciprocità è dunque fondamentale per il pensiero confuciano nel processo di perfezionamento della propria umanità, ed è proprio dalla necessità delle relazioni umane che il proprio ren può manifestare tutte le proprie virtù [5].
Per l'etica e la morale confuciana, l'integrità morale dell'uomo all'interno della società richiede - oltre che tendere perennemente al ren e all'apprendimento costante - lo spirito rituale. Comportarsi umanamente equivale a comportarsi ritualmente. Ogni individuo deve vincere il proprio io per rivolgersi ai riti, in modo da disciplinare il proprio ego e interiorizzare ritualmente l'umanità delle proprie relazioni con le altre persone. Il forte legame tra essere umano e ritualità definisce in modo inequivocabile ciò che è umano secondo il pensiero confuciano. Il maestro ridefinisce il concetto antico e religioso di li, rito, spogliandolo del suo carattere più formale, religioso e sovrumano, con l'obiettivo di concentrarsi maggiormente sull'atteggiamento rituale degli uomini. Gli esseri umani, infatti, devono partecipare interiormente alla solennità dell'atto rituale, in modo che esso produca esteriormente un comportamento controllato e sincero nelle intenzioni e che eviti una pura forma di spettacolo esteriore. Per l'etica confuciana, è dunque il perfetto accordo fra la bellezza della forma esteriore e quella dell'intenzione interiore a distinguere l'uomo dall'animale. Il rito serve perciò a definire l'umanità di un gruppo umano e di ciascun uomo parte di tale gruppo [6]. Zuko, nel suo percorso di redenzione, affronta due rituali importanti che definiscono in modo completo la sua umanità e l'essere pienamente un "uomo nobile" (junzi): la danza del drago e l'Agni Kai. Il primo rito consiste nel recupero dell'originaria fonte del dominio del fuoco. Zuko, nel momento in cui decide di aiutare l'Avatar, non riesce più a dominare il fuoco per via del suo grande cambiamento interiore. La rabbia, la forza bruta e i muscoli non sono più il motore del suo potere, così decide di recarsi dalla civiltà dei guerrieri del sole per scoprire la fonte originaria del dominio del fuoco.
Dopo aver interagito con la civiltà dei guerrieri del sole, Zuko e Aang vengono messi al cospetto di Ran e Shaw, gli ultimi due draghi rimasti sulla terra e i primi dominatori del fuoco della storia. Nel dimostrare il loro valore di fronte ai draghi, Aang consiglia a Zuko di eseguire insieme la "danza del drago" (appresa attraverso delle statue poche ore prima), una tecnica originale di dominio del fuoco andata perduta nella nuova Nazione del Fuoco bellicista. Una volta eseguito perfettamente tale rito (li), i due draghi mostrano a Zuko e Aang la bellezza e la filosofia originaria del dominio del fuoco. Entrambi, dopo avere appreso la vitalità e la fonte originaria del dominio del fuoco, nonché la totale comprensione della bellezza esteriore e interiore del rito (li), riescono finalmente a ritrovare un nuovo centro morale ed energetico per esercitare tale elemento. Il secondo rito, molto più letale e violento, è l'Agni Kai. Questa lotta viene eseguita nel momento in cui due dominatori del fuoco devono risolvere una disputa e salvaguardare il proprio onore. Nel corso della serie, Zuko affronta tre importanti Agni Kai che segnano - anche - simbolicamente il suo percorso formativo da adolescente tormentato e arrabbiato con sé stesso a vero uomo nobile e di valore in pace con sé stesso. Il primo Agni Kai è quello contro suo padre e ha come tragico esito la sua grande cicatrice nella parte sinistra del suo volto; il secondo è lo scontro con l'ammiraglio Zhao, che Zuko vince e risparmia di marchiare; il terzo, infine, è quello drammatico e catartico contro sua sorella, Azula, scontro in cui il rito assume una perfetta sublimazione tra la bellezza esteriore e quella intenzionale interiore di entrambi i contendenti; inoltre, è la lotta in cui Zuko, nel suo sacrificio per salvare Katara, riesce a raggiungere pienamente il dao confuciano.
Nel suo sacrificio, infatti, compie la sacra missione dell'uomo di valore, che è quella di rimanere sempre fedele alla Via (dao) del Cielo fino alla morte, perché il dao per i confuciani è al di sopra di qualsiasi altro dovere. Il solo modo di intraprendere la Via del Cielo è elevando al massimo la propria umanità attraverso gli altissimi valori del ren, dell'apprendimento e dello spirito rituale. Il dao confuciano fa riferimento al Cielo, che non è un Dio o un'entità sovrannaturale, ma è un'entità cosmica che ha generato il mondo conosciuto e che bisogna rispettare. Tale concetto ed entità metafisica nasce con la dinastia Zhou occidentale, considerata da Confucio come la dinastia di una epoca d'oro a cui bisognava guardare per rimettere ordine al caos generato dalle continue guerre sanguinarie del suo periodo. La dinastia Zhou, per autolegittimarsi e far regnare l'armonia sociale, fondò il concetto di tianming, ossia mandato del Cielo, che legittimava l'insorgere di un sovrano giusto e virtuoso nel rovesciare una dinastia tirannica e corrotta. Allo stesso tempo, tuttavia, il Cielo poteva revocare tale mandato nel governare a un sovrano e consegnarlo a un altro più giusto, o meglio, più junzi. Il pensiero di Confucio non escludeva infatti il suo lato più politico, che doveva intrecciarsi con quello etico e morale. Il concetto di "uomo nobile" era sì rivolto a tutti gli uomini, ma fu indirizzato soprattutto alla classe aristocratica del suo tempo. L'obiettivo politico di Confucio era di insegnare a realizzare il ren nelle varie corti dei principi a cui prestava il suo servigio, in modo da far cessare la continua guerra per l'egemonia e riportare l'armonia sociale attraverso un sovrano che riflettesse la virtù (de) e la saggezza del Cielo. Il junzi, l'uomo di valore, doveva quindi rispettare le varie gerarchie sociali, in modo che il sovrano potesse esprimere la saggezza e la virtù del suo ren. Di conseguenza anche il popolo, seguendo l'etica e la morale confuciana, avrebbe acconsentito alla piena armonia sociale.
Tale comunanza d'intenti nel confucianesimo viene rappresentata dal concetto della pietà filiale (xiao), ovvero la risposta naturale del figlio all'amore dei propri genitori, la quale si riflette poi nel rapporto gerarchico di lealtà tra sovrano-suddito. In un rapporto di reciprocità, il sovrano governa i sudditi come se fossero dei figli, e i sudditi rispondono con amore alla benevolenza del proprio sovrano-padre. Zuko, incarnando pienamente le virtù del junzi e avendo un indiscutibile onore, viene incaricato da Iroh di prendere il trono in una lotta per il mandato del Cielo (tianming) con Azula, in modo da restaurare non una nuova dinastia, ma un nuovo regnante che possa finalmente far cessare la guerra sanguinaria dei cent'anni. Il nuovo regno ha dunque bisogno di un sovrano dotato di una mentalità empatica, virtuosa e pacifista per lavare via i peccati di una sanguinaria generazione di Signori del Fuoco e, finalmente, per conquistare quella agognata pace e armonia sociale che Confucio non vide mai nella sua vita.
Dalla dinastia imperiale Han, tuttavia, nata da una rivolta contadina contro la sanguinaria dinastia Qin, il pensiero confuciano diventò ideologia imperiale e venne sempre più assimilato dalla classe burocratica imperiale. I discepoli, i letterati e i burocrati confuciani tramandarono e preservarono gli insegnamenti di Confucio nelle successive dinastie imperiali, che per secoli seguirono, con vari sincretismi, gli insegnamenti etico e morali del maestro [7]. Proprio come la dinastia Han, Zuko viene investito con umiltà di un nuovo mandato del Cielo (tianming) che possa guidare una nuova Nazione del Fuoco a ristabilire l'armonia sociale non solo nel suo regno, ma anche nel mondo, traghettando finalmente le quattro nazioni verso una nuova era di pace e di armonia. Non è un caso che re Ozai e Azula, in antitesi a Zuko, incarnino invece la scuola filosofica "nemica" per eccellenza dei confuciani: il legismo.
La scuola filosofica dei legisti privilegia una completa distruzione dell'antica tradizione e segue ciecamente la realpolitik per la quale la legge del sovrano è indiscutibile e la cui osservanza deve essere rigorosa. Essa non sottostà ad alcuna autorità etico-morale del Cielo ed è al di sopra di qualsiasi rito confuciano, rifiutando qualsiasi forma di correlazione tra moralità e potere. Il sovrano, quindi, seguendo l'evoluzione antropologica, sociologica e geopolitica del suo tempo, dev'essere forte e scaltro nell'accrescere il proprio potere. La filosofia politica legista segue con naturalezza il corso del suo tempo, svincolandosi da qualsiasi filosofia etica e morale delle correnti emerse nei bellicosi Periodi della Primavera e degli Autunni (722 a.C./81 a.C.) e degli Stati combattenti (453 a.C./221 a.C.). Tale dottrina politica si origina infatti con l'affermazione dello stato di Qin sul resto della Cina (221 a.C/206 a.C.), guidato dallo scaltro sovrano Qin Shi Huangdi che fonda il primo impero cinese. Nel corso dei suoi pochi anni di regno, egli sviluppò una forma di totalitarismo che sfociò dal rogo dei testi confuciani fino al culto "divino" della sua personalità. Lo scopo del sovrano fu quello di evitare qualsiasi collegamento con il passato e con i numerosi regni conquistati, in modo da poter controllare con qualsiasi mezzo il nuovo popolo riunito sotto un unico impero. I parallelismi con Ozai e la Nazione del Fuoco si sprecano, a partire dall'espansionismo imperialista di quest'ultima a danno delle altre nazioni, passando per il rogo di tutti i libri riguardo il proprio passato - avvenuto cento anni prima degli eventi della serie - nella biblioteca di Wan Shi Tong, fino alla sottomissione totale della classe sacerdotale al Signore del Fuoco e la rimozione di antiche tradizioni culturali come la danza. Il principio di forza (shi) del legismo è in opposizione alla virtù taoista-confuciana (de) e viene continuamente ripetuto da Azula e Ozai, che rimproverano debolezza ai loro avversari perché non spietati quanto loro, anche nell'usare il dominio [8].
ATLA e lo sciamanesimo
Nella mitologia di ATLA il ruolo dell'Avatar, oltre che garantire la pace e l'armonia tra le quattro nazioni, è quello di essere il ponte tra il mondo degli umani e quello degli spiriti. L'Avatar deve quindi mantenere l'equilibrio tra i due mondi e, come la figura dello sciamano, è l'unico che può entrare in contatto con gli spiriti e compiere il viaggio ultraterreno nel loro mondo. Il solo modo per poter compiere tale viaggio è attraverso una profonda meditazione e lo Stato dell'Avatar. Nella religione sciamanica, l'unione di queste tecniche richiama lo stato di trance, ovvero di uno stato psichico alterato - raggiunto anche grazie all'utilizzo di determinate sostanze allucinogene - che permette al corpo di trasformarsi spiritualmente e compiere il viaggio nel mondo ultraterreno degli spiriti. Una volta rientrato nel proprio corpo e cessato lo stato di trance, lo sciamano avrà trovato la soluzione al proprio problema o a quello della propria comunità [9]. Ripercorrendo tale viaggio sciamanico, Aang entra nel mondo degli spiriti al fine di cercare una soluzione alla battaglia incombente tra la Nazione del Fuoco e la Tribù dell'Acqua del Nord, dimensione in cui si rivolge allo spirito oscuro Koh per chiedere consigli. Aang, su richiesta di alcune persone, proprio come uno sciamano si confronta invece con altri spiriti come Hai Bai - lo spirito protettore di una foresta nel Regno della Terra - per risolvere le controversie tra gli esseri soprannaturali e gli umani.
Lo sciamanesimo solitamente è ricondotto alla cultura dei nativi americani, però la serie, oltre ad attingere a quella cultura, mostra lo sciamanesimo cinese. Nella puntata The Fortuneteller (1x14) si può così osservare l'indovina Zia Wu praticare l'arte divinatoria delle ossa oracolari della dinastia Shang (la prima dinastia cinese storicamente riconosciuta). Una volta trovate delle ossa scapolari di ovini o bovini o gusci di tartaruga, vi si applicava al livello delle loro cavità dei tizzoni ardenti. A contatto con il fuoco, le ossa producevano delle screpolature, le quali andavano poi interpretate dallo sciamano per predire buoni o cattivi auspici al sovrano o alla classe nobiliare [10].
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APPROFONDIMENTI
[1] [2] [3] [5] [6] [7] [8] [10] Cheng, Anne (2000). Storia del pensiero cinese. Torino. Einaudi.
[4] Filoramo, Giovanni; Massenzio, Marcello; Raveri, Massimo; Scarpi, Paolo (1998). Manuale di storia delle religioni. Milano. Ed. Mondolibri, su licenza Gius. Laterza & Figli