Nel 1982, gli enormi sforzi produttivi e finanziari di alcuni ex-animatori e registi della Walt Disney Productions, tra cui figurano i già esperti Don Bluth, Gary Goldman e John Pomeroy, terminano il primo lungometraggio animato occidentale concepito e realizzato per riportare in auge la tecnica sopraffina utilizzata dalla Disney nel corso della propria Golden Age. Il film, Brisby e Il Segreto di NIMH, capo d'opera tratto dal romanzo per ragazzi Mrs. Frisby and the Rats of NIMH (1971) di Robert C. O'Brien, riflette nella propria qualità estetica la volontà degli artisti di restituire importanza alle minuziosità stilistiche, alle atmosfere in parte ombrose e ricche di pathos, ai character design curati nei dettagli sui quali il colosso californiano, soprattutto dopo la morte di Walt Disney nel 1966, non investe più da ormai quasi due decenni [1]. La neonata Don Bluth Productions, creata proprio per sfidare i produttori della Disney poco inclini a sperimentare e a "rischiare", come spiega Bluth stesso [2], non riesce a stabilizzarsi economicamente con l'uscita del proprio tanto agognato e ambito primo progetto, rischiando dunque la bancarotta dopo nemmeno due anni di attività. Il film successivo della casa di produzione, infatti, dovrebbe trasporre in animazione la fiaba norvegese A Oriente del Sole e a Occidente della Luna (1842-1877), ma il lungometraggio non riesce a entrare in fase di produzione data la crisi finanziaria dello studio.
Le sorti già segnate dei visionari artisti vengono risollevate quando, nel 1983, Don Bluth viene avvicinato da Rick Dyer, un giovane ingegnere elettronico rimasto tremendamente affascinato da Brisby e Il Segreto di NIMH. Il giovane ingegnere propone infatti al regista un progetto che per molti anni frutterà al nuovo studio la maggior parte dei propri incassi, ovvero la creazione di corti e di mediometraggi - inizialmente - convertiti su LaserDisc [3] per poter intervallare in videogiochi arcade sezioni animate in tecnica tradizionale a fasi interattive di gameplay. Nascono così classici del medium videoludico come la saga di Dragon's Lair (1983) e Space Ace (1983), prodotti dalla Advanced Microcomputer System e distribuiti durante gli anni '80 dalla COLECO.
Nel 1985, la casa di produzione include nella propria amministrazione l'imprenditore Morris Sullivan e cambia dunque nome in Sullivan-Bluth Studios. Nel frattempo, la base operativa della compagnia si sposta dagli Stati Uniti d'America a Dublino e, grazie alla lenta ma progressiva crescita di notorietà di Brisby e Il Segreto di NIMH e di Dragon's Lair, Bluth viene contattato da Steven Spielberg, artista e magnate di Hollywood che si offre di produrre e di finanziare un nuovo lungometraggio d'animazione: Fievel Sbarca In America (1986).
Mentre Sullivan, anziano uomo d'affari già in pensione ma persuaso dagli ex animatori Disney a ricoprire il ruolo di direttore dell'economica aziendale, organizza il trasferimento dello studio in Irlanda per poter beneficiare di un miglior sistema di tassazione e di incentivi statali [4], Spielberg cerca di avvicinare Bluth a un'idea di esplicita concorrenza verso la Walt Disney Productions, colosso che con i propri Classici non riesce più a mantenere in stato di monopolio il mercato dei lungometraggi d'animazione realizzati per il cinema. Gli ultimi film della Disney, Taron e La Pentola Magica (1985) e Basil L'Investigatopo (1986) non incassano insieme nemmeno la metà degli enormi guadagni che Fievel Sbarca In America riscuote durante il proprio periodo di debutto in sala. Il film di Bluth e di Spielberg si rivela infatti il maggior incasso registrato nella storia dell'animazione da un'opera non Disney: 45 milioni di dollari negli Stati Uniti d'America e ben 84 milioni di dollari nel resto del mondo.
Il secondo lungometraggio diretto da Bluth si presenta sia un meraviglioso racconto di formazione, sia un'opera politicamente attiva popolata da topi e da gatti antropomorfi. I personaggi risultano esteticamente simili a quelli presenti nel primo corto del regista Banjo Il Gattino Ribelle (1979) e in Brisby e Il Segreto di NIMH (1982), tutti lavori in parte disegnati e supervisionati dal veterano e co-fondare della Don Bluth Productions John Pomeroy.
L'incipit della trama viene ambientato durante primi anni del Novecento in Russia, nel corso della Guerra civile bolscevica, e si sviluppa seguendo le avventure di una delle tante famiglie che fuggono dalla propria patria con in mente il sogno di raggiungere l'America. I temi del migrante, della ricerca della felicità e della stabilità, della speranza e della cooperazione come risorsa primaria per la sopravvivenza sono quelli che percorrono tutto l'arco narrativo del lungometraggio. Uno dei segreti del successo del film si trova dunque nell'assoluta disinvoltura e profondità con cui il racconto riesce a narrare le storie vere di centinaia di migliaia di statunitensi, un popolo che basa la propria nazionalità sull'essere originari di altre terre, vicine o lontane. A tali argomenti si associa perfettamente la poetica di Bluth, autore che anche in Brisby e Il Segreto di NIMH [5] descrive la famiglia, ovvero il nucleo dell'amore e dell'unione, come il valore più alto, inscindibile e imprescindibile che possa esistere. Fievel, il secondogenito, è un bambino forte, intellettualmente attivo e deciso. La sua curiosità è spinta da una pulsione ancora frenetica, che lo porta a vedere ogni situazione come una potenziale avventura. Purtroppo, proprio per questa sua indole Fievel cade in mare durante la navigazione verso New York e perde quindi ogni cosa: la famiglia, un posto dove andare e una casa nella quale poter fare ritorno. Il protagonista comincia una vera e propria "odissea" alla ricerca dei propri genitori, un viaggio nel quale conosce sia nuovi amici, sia lo spettro della malavita della "Grande Mela": sfruttatori, contrabbandieri, schiavisti e assassini.
Nel frattempo, la famiglia del protagonista viene inserita nella società statunitense con tutte le contraddizioni che la caratterizzano. Come Francis Ford Coppola ne Il Padrino - Parte II (1974) e Sergio Leone in C'era Una Volta In America (1984), Bluth diventa metà regista e metà storico, metà artista e metà sociologo nel mettere in scena la vita delle migliaia di persone che rincorrono il "sogno americano" con addosso la paura di soccombere da un momento all'altro e con in bocca l'amarezza del disincanto. << In America non ci sono gatti! >> dice più volte il padre di Fievel durante il viaggio per rincuorare l'animo degli altri migranti che, come lui, stanno abbandonando ogni briciola del loro passato per poter cominciare una nuova vita, un'esistenza aggrappata a un'idea - solo in probabile divenire - di benessere e di prosperità. La realtà, tuttavia, è ben diversa. I gatti ci sono eccome, e non solo compiono attentati ai topi, ovvero ai cittadini, ma controllano nel pratico ogni business dei bassifondi metropolitani. È davvero raro riscontrare metafore di tale spessore analitico per ciò che concerne la psicologia sociale e di tale crudezza nell'animazione anglofona più superficiale. Prendendo in esame film o fumetti occidentali altrettanto diretti e pungenti, si possono citare A Bug's Life (1998) di John Lasseter e Andrew Stanton, MAUS (1980/1991) di Art Spiegelman e sicuramente alcune sezioni di Blacksad (2000/in corso) di Juan Diaz Canales e Juanjo Guarnido.
Un'altra interessante critica ben espressa dalla messinscena e dalla storia, esternata in maniera più sottile ma non meno tagliente, è la caratterizzazione della classe borghese che dovrebbe guidare il popolo, povero e indifeso, nella ribellione contro la subdola tirannia dei gatti. I coordinatori di tali proteste, ovvero le figure di riferimento dei cittadini, sono due: un'anziana signora di nobili origini inglesi descritta nel film come la donna più ricca di New York e il capo del sindacato, un ubriacone che specula persino sulla morte dei propri elettori.
Il successo di Fievel Sbarca In America viene determinato non solo dagli importanti e affatto banali argomenti esposti durante lo sviluppo della trama, bensì anche dalle meravigliose musiche scritte e orchestrate da James Horner (Braveheart, Jumanji, Titanic, Avatar), componimenti romantici - quasi citazionistici nei confronti di Beethoven in alcuni passaggi - che riescono a rendere la maggior parte delle sequenze filmiche profondamente ed emotivamente toccanti. La colonna sonora e le canzoni di Horner, infatti, consolidano l'idea di Bluth e, soprattutto, di Spielberg di voler creare con le rispettive case di produzione Sullivan-Bluth Studios e Amblin Entertainment una nuova e valida alternativa alla Disney, questa volta non andando controcorrente come era successo con Brisby e Il Segreto di NIMH, ma abbracciando la natura parzialmente show tunes, in parte adulta e drammatica, in parte comica che fino agli anni '70 aveva caratterizzato proprio il colosso californiano. Con questo film, dunque, si conclude l'era della "dissidenza" di Don Bluth.
Nel 1988, il regista realizza un secondo film in collaborazione con Spielberg, un lungometraggio destinato a diventare uno dei franchise più redditizi della storia dell'animazione cinematografica: Alla Ricerca della Valle Incantata. La terza opera di Bluth si impone mediaticamente alla fine degli anni '80 grazie al maggior successo al botteghino registrato da un film d'animazione durante tutto il decennio. Sembra quindi che la silenziosa battaglia artistica ed economica contro la Disney sia definitivamente vinta. Il film viene inizialmente concepito dai produttori della Universal Pictures e della Amblin Enterteinment durante la realizzazione di Fievel Sbarca In America. L'idea alla base dell'opera è quella di narrare la vita di un cucciolo di dinosauro nell'età preistorica, un argomento popolare e ammirato da molti bambini di tutto il mondo. Il primo convincimento di Spielberg, poi scartato perché troppo difficile da attuare, è quello di creare un film come Bambi (1942) ma con i dinosauri, dunque quasi senza linee di dialogo. Il suo collega e socio George Lucas, addirittura, propone di basare l'intera opera sulla quarta sezione di Fantasia (1940) La Sagra della Primavera [6], ma tale idea non convince la Universal Pictures. Nonostante ciò, il lungometraggio comincia effettivamente con l'incombere di una catastrofe naturale e la storia seguente si sviluppa attraverso un lungo e tortuoso esodo dei protagonisti verso una terra rigogliosa e accogliente.
Bluth, a causa di contrasti con Spielberg e Lucas, riesce solo in parte a realizzare un'opera della stessa profondità dei suoi precedenti film. Alla Ricerca della Valle Incantata esprime, come ormai è consuetudine, la parte più esistenziale della poetica dell'autore, focalizzando il racconto sui concetti di famiglia e unione e aggiungendo a tali temi una non comune sensibilità nei confronti del lutto e della sua elaborazione. Negli ultimi mesi di lavorazione vengono tagliati in tutto dieci minuti di minutaggio, ben diciannove sequenze, e ciò provoca a Bluth un profondo astio nei confronti della produzione della propria opera, costretta a una durata esigua di 69 minuti e privata della sua scena più cruenta, ovvero la morte violenta del Tyrannosaurus rex (il "denti aguzzi").
In seguito all'uscita del film, infatti, gli accordi tra Bluth e Spielberg si sciolgono. Le grandi realtà finanziarie e mediatiche dell'animazione cinematografica occidentale diventano tre. Spielberg, dopo aver capitalizzato economicamente il 1988 con Alla Ricerca della Valle Incantata e con Chi ha Incastrato Roger Rabbit, film in tecnica mista diretto da Robert Zemeckis e animato da Richard Williams [7], fonda la Amblimation, studio d'animazione che dal 1991 al 1995 produrrà Fievel Conquista Il West (1991), We're Back: Quattro Dinosauri a New York (1993) e Balto (1995).
Il magnate di Hollywood, grazie ai diritti d'immagine sul personaggio di Fievel - che diviene la mascotte della Amblimation - diventerà dunque uno dei nuovi fari dell'animazione statunitense ancora prima di gettare le basi finanziarie per la fondazione di uno dei futuri giganti del medium: la DreamWorks Pictures. La Walt Disney Company, d'altro canto, dopo un decennio di fallimenti apre le porte al proprio "rinascimento" con La Sirenetta (1989), lungometraggio che decreta la definitiva rinascita dell'azienda nel settore dell'animazione e l'avvento di un secondo periodo aureo degli studios che durerà fino alle porte del nuovo millennio. In tutto ciò, Don Bluth, Gary Golman e John Pomeroy, colleghi sempre compatti e adesso più liberi di poter esprimere la loro arte, realizzano Charlie: Anche I Cani Vanno In Paradiso (1989), lungometraggio che nonostante non riesca a incassare quanto i due film prodotti con Spielberg riesce a imporsi nel nuovo mercato home video delle videocassette, diventando in breve tempo una delle opere animate più vendute in formato "casalingo". Il film si presenta più ingenuo e leggero se confrontato con i lavori precedenti di Bluth ma riesce, anche grazie a Goldman che da ora in avanti risulterà sempre co-regista, a ridimensionare la poetica dell'autore da adulta - ma universalmente comprensibile - a giovanile senza perdere i propri lati più esistenziali come i temi del lutto e dell'abbandono. Tuttavia, i Sullivan-Bluth Studios ormai si dimostrano completamente sottomessi ai modus operandi di Spielberg e della Disney in piena ripresa artistica.
Tra canzoni coreografate, macchiette simpatiche prive di sarcasmo e senza più quell'identità dark e temeraria che aveva caratterizzato Brisby e Il Segreto di NIMH e, in parte, anche Alla Ricerca della Valle Incantata, nonostante i tagli messi in atto dalla produzione, gli artisti che all'inizio degli anni '80 rappresentavano la vera resistenza del settore del cinema d'animazione risultano ormai completamente privi di carattere e di voglia di osare. Il declino della casa di produzione statunitense più rivoluzionaria dai tempi della United Productions of America (UPA) comincia nel 1991 con l'uscita di Eddy e La Banda del Sole Luminoso, film completamente anonimo e poco curato sia nella direzione che nella supervisione tecnica. Il lungometraggio, il primo importante flop al botteghino di Bluth e di Goldman, colpisce negativamente sia nello spirito, sia nei fondi la compagnia, studios che fino alla metà degli anni '90, ovvero fino alla definitiva bancarotta della società, produrranno soltanto altri tre pessimi lungometraggi, uno meno interessante e meno riuscito dell'altro: Pollicina (1994), Le Avventure di Stanley (1995) e Hubie all'Inseguimento della Pietra Verde (1995). Nell'ottobre del 1995, i Sullivan-Bluth Studios chiudono definitivamente i battenti. In seguito alla disfatta dell'azienda, Don Bluth e Gary Goldman trovano posto come registi nella nuova casa di produzione Fox Animation Studios, mentre John Pomeroy decide di tornare alla Disney in qualità di designer e direttore delle animazioni, mansioni che porteranno l'artista a diventare irrevocabilmente uno dei professionisti più importanti dell'animazione anglofona.
Nel 1997, i due registi realizzano il primo lungometraggio e il maggior incasso dei Fox Animation Studios: Anastasia. In maniera completamente soggiogata ai nuovi "rinascimentali" Classici Disney e alla Crest Animation di Richard Rich, il film revisiona in chiave anti-storica e completamente falsa gli avvenimenti accaduti durante la Rivoluzione russa (1917/1921), ponendo come protagonista e finta principessa Disney l'ultima figlia degli zar Romanov e come antagonista e sadico stregone ribelle il consigliere reale Rasputin. Nonostante le lodi e i premi conseguiti dal lungometraggio, il lavoro di Bluth e di Goldman rasenta artisticamente il ridicolo. Visto il successo dell'opera, i due artisti dirigono per la prima volta in carriera il sequel di un loro film, Bartok Il Magnifico (1999), lungometraggio che approfondisce uno dei personaggi secondari di Anastasia. La casa di produzione, che prima del 1997 aveva soltanto distribuito alcuni film d'animazione minori ma apprezzati dal pubblico come FernGully: Le Avventure di Zak e Crysta (1992), C'era Una Volta nella Foresta (1993) e Pagemaster (1994), decide di voler incrementare l'utilizzo di software CAPS (Computer Animation Production System) all'interno delle proprie produzioni, visto che studi come Pixar Animation stanno cambiando sia concettualmente, sia nel pratico il modo di realizzare e, soprattutto, di osservare il medium.
Nel 1999 cominciano i lavori di produzione di una delle opere più ambiziose degli anni '90, un'avventura spaziale da 75 milioni di dollari di budget: Titan A.E. Il progetto, uno dei primi film occidentali creati con tecnica tradizionale unita in maniera massiccia a CGI, si presenta così audace che Bluth e Goldman non solo dirigono il film, ma decidono di co-produrlo assieme allo sceneggiatore di Fievel Sbarca In America - e non solo - David Kirschner, uno dei professionisti dell'era "Sullivan" con cui i due artisti erano rimasti in migliori rapporti. I registi, dopo un decennio privo di ispirazione, riescono finalmente a creare sequenze iper-dinamiche staccandosi dai modelli disneyani e creando in modo sorprendentemente maturo e senza derivazioni, a parte classici come Star Wars IV: Una Nuova Speranza (1977), uno stile sci-fi d'azione che, nel corso del nuovo millennio, adotterà la Disney stessa con Il Pianeta del Tesoro (2002) e con il film live-action Guardiani della Galassia (2014). Titan A.E, infatti, si presenta come una space opera adrenalinica e avventurosa, romanzesca e tecnicamente rivoluzionaria grazie all'utilizzo di una computer grafica di qualità estremamente avanzata per l'anno di produzione. Purtroppo, negli anni in cui il pubblico generalista sta cominciando a giudicare vecchia l'animazione disegnata, il mastodontico progetto dei Fox Animation Studios risulta un flop clamoroso e manda in debito la compagnia quasi 50 milioni di dollari.
Nello stesso anno, dunque, la casa di produzione è costretta a chiudere e Don Bluth e Gary Goldman smettono di lavorare in maniera continuativa nel settore del cinema animato. La parabola sinusoidale che caratterizza la carriera di Bluth mette in luce la tragica relazione di dipendenza, quasi tossica, che la maggior parte degli artisti, soprattutto negli Stati Uniti d'America, sviluppano nei confronti dell'industria. Le fredde macchine, le reti, i consigli di amministrazione che governano la gigantesca matassa denominata "mercato dell'arte" vincono sempre su chi vi opera e su chi, anche senza sottostare alle sue leggi, vuole cercare di esprimere un proprio concetto, una propria idea, una propria visione. Don Bluth è uno dei pochi registi d'animazione statunitensi che si può definire un autore, uno dei pochi tecnici che nella propria arte ha sempre innestato il senso di appartenere a una mente comune. I suoi film, più o meno riusciti, più o meno importanti, godono tutti di una intenzione precisa, ovvero mettere in relazione il mondo con le preoccupazioni umane. In questo, Bluth rappresenta uno degli esponenti più importanti della storia dell'animazione, assieme a Martin Rosen e ad Hayao Miyazaki, e per ciò che concerne il cambiamento dell'industria animata statunitense, dal monopolio della Walt Disney Productions allo sviluppo di un mercato competitivo durante la fine del XX secolo, forse simboleggia e figurerà per sempre, assieme a John Lasseter della Pixar [8], come il professionista più rivoluzionario in assoluto.
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APPROFONDIMENTI
[1] [5] Silvano, Isaia (2021). Brisby e Il Segreto di NIMH: la rivoluzione di Don Bluth. Animazione Anglofona. daelaranimation.com
[2] [3] Fiecconi, Federico (1984). Don Bluth: il Disney degli anni '80. Videogiochi, n. 18. Milano. Gruppo Editoriale Jackson. pp. 90-93. ISSN 0392-8918.
[7] Silvano, Isaia (2021). The Thief and the Cobbler: la perla incompiuta dell'animazione ermetica. Animazione Anglofona. daelaranimation.com